Di Ludovica Micheli
Raoul Bova in veste di regista e Michelle Hunziker nei panni dell'attrice protagonista, hanno realizzato un cortometraggio sul tema della violenza sulle donne che si pone l'obiettivo di sensibilizzare il grande pubblico su una questione che ancora oggi rimane di difficile gestione. Un impegno che, a prescindere dal prodotto filmico in sé, è sicuramente molto apprezzabile nel modo di mettere a disposizione i volti noti dello spettacolo per una campagna di sensibilizzazione.
Scritto e diretto da Raoul Bova, il cortometraggio Amore Nero rappresenta più che un vero e proprio prodotto filmico, la volontà di sensibilizzare la società su un tema spinoso e scabroso come quello della violenza sulle donne, un fenomeno che ha radici antiche e che ancora oggi trova terreno fertile nei paraocchi culturali di tradizioni e “usanze” che preferiscono l'apparente pulizia del silenzio alla deflagrante miccia della verità.
Solo 14 minuti per raccontare il vortice di tensione psico-fisica nel quale viene risucchiata una donna quando è vittima, impotente, di violenza: sia essa fisica o mentale. Un torto subito che anziché scatenare reazioni di difesa attiva, sfuma in un'implosione passiva dei sentimenti, complici un retaggio culturale che (specie in ambito matrimoniale) confina la donna nel bene e nel male della sua unione, la sensazione di paura che si mescola alla percezione di non avere alcuna via di fuga, di dover accettare e subire quel crescendo di violenza ai propri danni senza poter opporre alcuna resistenza. Per rappresentare questa condizione, purtroppo sempre molto diffusa (anche se, dall'introduzione della legge sullo stalking, sono aumentati i mezzi con cui osteggiarla), Raul Bova sceglie Laura (nell'inedito, sofferente volto di Michelle Hunziker), donna e moglie vittima di un amore nero, che la incatena al fianco di un marito violento e ossessionato dall'idea di perdere la sua donna. Laura cerca un appiglio per liberarsi da quel fardello di vita, ma non lo trova, ostacolata nel suo desiderio di fuga da una madre che non comprende, e ossessionata dall'immagine di una bambina (lei da piccola) già costretta a metabolizzare una vita di donna fatta di abusi e silenzi. Un filo comune che raccoglie tre generazioni di donne accomunate dalla stessa difficoltà di far valere i propri diritti, scrollarsi di dosso l'onta di un peccato mai commesso. Ed è forse questo l'aspetto più riuscito del cortometraggio di Bova, contaminato da una sincerità di fondo che trascende la qualità filmica del prodotto, arricchito da un certo fiuto per l'inquadratura ma condizionato da una retorica che ne smorza il pathos.