Di Eva Mazzone
La parola “femminicidio” è un neologismo che indica l’omicidio di una donna da parte di un uomo per il fatto stesso di essere donna, per la sua identità di genere. Il termine è stato coniato da Marcela Lagarde, antropologa messicana, in occasione del caso di Ciudad Juárez, ed è poi entrato nel dibattito accademico e politico. Il femminicidio è un’emergenza mondiale e senza confini: gli uomini che uccidono le donne non sono né poveri né ricchi, non abitano né al Nord né al Sud, non hanno nazione o credo. A seguito di una ricerca dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, le donne che subiscono violenze da uomini sono il 37,7% nei paesi del Sud Est Asiatico, ma il fenomeno non risparmia i paesi del cosiddetto “primo mondo” (Stati Uniti, Europa Occidentale, Australia, Corea del Sud e Israele). In Italia, secondo i dati Istat di giugno 2015, 6 milioni 788 mila donne hanno subito nel corso della propria vita violenza fisica o sessuale. Inoltre, a livello globale, il 38% dei femminicidi è commesso dai partner. Non solo: i casi di omicidio di genere riguardano anche le donne uccise dai padri o dai familiari, in generale perché le vittime rifiutano il loro status di donna, come per esempio quando respingono il matrimonio oppure hanno inclinazioni sessuali diverse da quelle previste dal loro modello sociale; questi omicidi riguardano anche le prostitute contagiate di AIDS o uccise dai clienti e, se vogliamo tornare indietro nel tempo, riguardano anche tutte le donne accusate di stregoneria e condannate al rogo. In più, oltre questi dati, si deve considerare che c'è una quota di violenza non denunciata difficilissima da stimare. Nel civilissimo Vecchio Continente quattro donne su cinque non si sono rivolte ad alcun servizio sanitario, sociale o di sicurezza dopo aver subito abusi da parte del partner. È anche vero, però, che spesso le denunce di violenze non vengono prese in considerazione come si dovrebbe, e certe morti potrebbero essere evitate se lo Stato tutelasse veramente i diritti delle vittime.
Il femminicidio si riscontra in tutti i luoghi e in tutti i tempi. I fattori che influenzano questo tipo di fenomeno globale sono di natura culturale, sociale e psicologica. La violenza, fatale e non, si compie quando la donna viene considerata colpevole di aver trasgredito le regole di un preciso ruolo sociale stabilito dall’uomo. La donna è, infatti, nella maggior parte delle culture, subordinata all’uomo. Oggi il fenomeno, grazie alle recenti rivendicazioni di uguaglianza da parte del movimento femminista in Occidente, si nota soprattutto in molti paesi del vicino e del lontano Oriente. Lo status della donna è stato sì influenzato dalla religione, soprattutto quelle monoteiste (islam, ebraismo e cristianesimo), che palesemente predicano la superiorità maschile sul gentil sesso, ma ha radici ben più radicate nella storia dell’uomo. Il mondo della donna è da sempre proiettato verso l’interno, mentre quello dell’uomo verso l’esterno. Quando però le consuetudini si trasformano in dogmi, è la libertà dell’individuo a essere minacciata. Inoltre, tutte le società patriarcali hanno usato e continuano ad usare il femminicidio come forma di controllo sociale sulle donne. Dal punto di vista psicologico la violenza ha come causa scatenante un insieme di sentimenti che si esprimono in un unicum, ovvero quelli di sentirsi ingabbiati, impotenti, abbandonati. Un soggetto psicologicamente instabile, sottoposto a grande stress, sfoga il malessere nella violenza. Ma c’è sempre l’altra faccia della medaglia: il comportamento femminile, che tollera la violenza e che la gradisce fino a un certo punto. Perché il problema sociale del maschilismo, e il suo riscontro nella vita di coppia o in famiglia, è un fatto che accomuna sia gli uomini che le donne, le quali spesso vivono secondo i luoghi comuni e i modelli culturali. Anche il condizionamento mediatico influisce sul femminicidio, inducendo a considerare il pensiero come inutile, lento e ingombrante e l’azione aggressiva efficace, veloce e coraggiosa. Al giorno d’oggi si parla molto di femminicidio, delle sue cause e conseguenze, di come combatterlo. L’unica via d’uscita, come spesso accade, è l’educazione: la formazione di mentalità aperte, a conoscenza dei diritti e doveri di ogni uomo per la convivenza civile. La lotta al femminicidio, com’è ovvio, è trainata dalle donne: sono loro a parlare, a interessarsi, a promuovere l’educazione, a combattere. La vera svolta arriverà quando saranno gli uomini ad intraprendere la propria battaglia contro l’efferatezza di altri uomini.