SorrisoDiverso

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Di Alessia Cherubini
Purtroppo al giorno d'oggi quello delle ragazze madri è un fenomeno molto diffuso, prima soprattutto in America, ora anche in Italia. Quella del sesso è diventata quasi una moda: le ragazze pensano di doverlo fare perché così si sentono forti, alla moda, parte di un gruppo. Non comprendono, invece, che solo le persone che le accettano per quello che sono le apprezzano davvero e meritano di passare del tempo con loro, non chi le vuole vicine per quello che sono disposte a fare. Assai più grave, non credo che si rendano conto delle conseguenze a cui potrebbero andare incontro, come le malattie o una gravidanza in età giovanile, che le conduce di conseguenza a pensare alla possibilità dell’aborto, una pratica che non ritengo sempre giusta.
Io sento di essere d'accordo con l'aborto, ma solo in casi estremi, quindi non come questi, dove la gravidanza è quasi una "distrazione", incapace di giustificarlo. Credo, quindi, che le ragazze dovrebbero fare più attenzione, soprattutto quando prendono queste decisioni, perché basterebbe un atteggiamento diverso per evitare questa situazione; da parte mia, spero che lo capiscano.

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Di Eva Mazzone
La parola “femminicidio” è un neologismo che indica l’omicidio di una donna da parte di un uomo per il fatto stesso di essere donna, per la sua identità di genere. Il termine è stato coniato da Marcela Lagarde, antropologa messicana, in occasione del caso di Ciudad Juárez, ed è poi entrato nel dibattito accademico e politico. Il femminicidio è un’emergenza mondiale e senza confini: gli uomini che uccidono le donne non sono né poveri né ricchi, non abitano né al Nord né al Sud, non hanno nazione o credo. A seguito di una ricerca dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, le donne che subiscono violenze da uomini sono il 37,7% nei paesi del Sud Est Asiatico, ma il fenomeno non risparmia i paesi del cosiddetto “primo mondo” (Stati Uniti, Europa Occidentale, Australia, Corea del Sud e Israele). In Italia, secondo i dati Istat di giugno 2015, 6 milioni 788 mila donne hanno subito nel corso della propria vita violenza fisica o sessuale. Inoltre, a livello globale, il 38% dei femminicidi è commesso dai partner. Non solo: i casi di omicidio di genere riguardano anche le donne uccise dai padri o dai familiari, in generale perché le vittime rifiutano il loro status di donna, come per esempio quando respingono il matrimonio oppure hanno inclinazioni sessuali diverse da quelle previste dal loro modello sociale; questi omicidi riguardano anche le prostitute contagiate di AIDS o uccise dai clienti e, se vogliamo tornare indietro nel tempo, riguardano anche tutte le donne accusate di stregoneria e condannate al rogo. In più, oltre questi dati, si deve considerare che c'è una quota di violenza non denunciata difficilissima da stimare. Nel civilissimo Vecchio Continente quattro donne su cinque non si sono rivolte ad alcun servizio sanitario, sociale o di sicurezza dopo aver subito abusi da parte del partner. È anche vero, però, che spesso le denunce di violenze non vengono prese in considerazione come si dovrebbe, e certe morti potrebbero essere evitate se lo Stato tutelasse veramente i diritti delle vittime.
Il femminicidio si riscontra in tutti i luoghi e in tutti i tempi. I fattori che influenzano questo tipo di fenomeno globale sono di natura culturale, sociale e psicologica. La violenza, fatale e non, si compie quando la donna viene considerata colpevole di aver trasgredito le regole di un preciso ruolo sociale stabilito dall’uomo. La donna è, infatti, nella maggior parte delle culture, subordinata all’uomo. Oggi il fenomeno, grazie alle recenti rivendicazioni di uguaglianza da parte del movimento femminista in Occidente, si nota soprattutto in molti paesi del vicino e del lontano Oriente. Lo status della donna è stato sì influenzato dalla religione, soprattutto quelle monoteiste (islam, ebraismo e cristianesimo), che palesemente predicano la superiorità maschile sul gentil sesso, ma ha radici ben più radicate nella storia dell’uomo. Il mondo della donna è da sempre proiettato verso l’interno, mentre quello dell’uomo verso l’esterno. Quando però le consuetudini si trasformano in dogmi, è la libertà dell’individuo a essere minacciata. Inoltre, tutte le società patriarcali hanno usato e continuano ad usare il femminicidio come forma di controllo sociale sulle donne. Dal punto di vista psicologico la violenza ha come causa scatenante un insieme di sentimenti che si esprimono in un unicum, ovvero quelli di sentirsi ingabbiati, impotenti, abbandonati. Un soggetto psicologicamente instabile, sottoposto a grande stress, sfoga il malessere nella violenza. Ma c’è sempre l’altra faccia della medaglia: il comportamento femminile, che tollera la violenza e che la gradisce fino a un certo punto. Perché il problema sociale del maschilismo, e il suo riscontro nella vita di coppia o in famiglia, è un fatto che accomuna sia gli uomini che le donne, le quali spesso vivono secondo i luoghi comuni e i modelli culturali. Anche il condizionamento mediatico influisce sul femminicidio, inducendo a considerare il pensiero come inutile, lento e ingombrante e l’azione aggressiva efficace, veloce e coraggiosa. Al giorno d’oggi si parla molto di femminicidio, delle sue cause e conseguenze, di come combatterlo. L’unica via d’uscita, come spesso accade, è l’educazione: la formazione di mentalità aperte, a conoscenza dei diritti e doveri di ogni uomo per la convivenza civile. La lotta al femminicidio, com’è ovvio, è trainata dalle donne: sono loro a parlare, a interessarsi, a promuovere l’educazione, a combattere. La vera svolta arriverà quando saranno gli uomini ad intraprendere la propria battaglia contro l’efferatezza di altri uomini.

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Di Marzia Tschabold
"Adaline" è un film del 2015, diretto da Lee Toland Krieger, con protagonisti principali del calibro di Harrison Ford, Blake Lively e Michiel Huisman. Racconta la straordinaria, incredibile vita di Adaline Bowman, che appena ventinovenne, a seguito di un incidente stradale non solo ne esce miracolosamente illesa, ma sviluppa un'inusuale capacità: niente di lei, neanche un capello, per una strana ragione, invecchia. Per sfuggire ai numerosi scienziati e medici interessati al suo caso, e dunque per non suscitare scalpore, Adaline è costretta a vivere sotto mentite spoglie e a trasferirsi ogni dieci anni girando così il mondo intero, interrompendo i rapporti con sua figlia. Il destino vuole che incontri un uomo, il quale riuscirà a farla uscire da quella vita così statica e ad assaporare la vita vera. Oltre ad essere un film romantico, ma non eccessivamente, Adaline è un'appassionante storia che attraversa varie epoche, dagli anni Trenta ai giorni nostri; una storia che ti tiene letteralmente attaccato allo schermo, la trama è accattivante, gli effetti e la regia spettacolari, ma il merito maggiore lo hanno gli attori: Blake Lively (interprete di Adaline) riesce perfettamente a riproporre la compostezza e la serietà di una donna d'altri tempi, pur mantenendo la freschezza di una ragazza dei giorni nostri. Insomma... È un film che merita, se ancora non l'avete fatto, affrettatevi a vederlo!