SorrisoDiverso

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Di Eva Mazzone
Chiunque faccia acquisti al supermercato e usi controllare le etichette troverà difficile non imbattersi nella dicitura “olio di palma”.
Le statistiche parlano chiaro: l’olio di palma è l’olio vegetale più usato al mondo. Gli importatori primari di questo prodotto sono Cina, Pakistan, Unione Europea, India e Stati Uniti, che lo acquistano da grosse multinazionali. È utilizzato in larga scala nei settori alimentare, cosmetico, farmaceutico ed energetico. In Italia si registrano importazioni pari a 1,6 milioni di tonnellate all’anno, il cui 21? è impiegato nell’industria alimentare.
Ma da dove proviene l’olio di palma?
La palma africana, nome scientifico elaeis guineensis, è originaria di una vasta area tra il Gambia e l’Angola. Produce grappoli sferici contenenti ognuno 2000 frutti, il 40? dei quali è composto da polpa che può essere utilizzata per produrre olio. In un primo momento essa viene spremuta, realizzando un olio rosso, ricco di vitamine e betacarotene. In seguito, per assecondare le necessità dell’utilizzo industriale, il prodotto viene raffinato fino a creare un olio giallo, privo di nutrienti, insapore e inodore.
La scoperta delle proprietà di quest’olio ha scatenato, a partire dagli anni ’90, una vera e propria rivoluzione nel campo dell’industria alimentare e non solo. Visto che la palma richiede un clima tropicale (24o-27o), oggi le coltivazioni si estendono in gran parte della Malesia, Indonesia e in alcune aree della foresta amazzonica.
L’olio si produce da non più di vent’anni, prima non si usava: cos’è che lo rende così diffuso? È più buono? No, l’olio è insapore. Vi costa meno? No, anzi forse è il contrario. La verità e che il suo utilizzo garantisce alle multinazionali enormi profitti a costo zero a scapito di ambiente, salute e sviluppo.
Analizziamo le caratteristiche della compravendita di quest’olio. Innanzitutto, i costi sono bassissimi. Le coltivazioni infatti si estendono su territori di sovranità indigena, spesso coperti di foreste. Un’arma a doppio taglio: non solo si frena lo sviluppo economico delle popolazioni locali, negando contratti oppure pagando pochissimo e monopolizzando il territorio rurale, ma si deforestano aree estesissime, danneggiando fortemente l’habitat naturale. È tristemente famosa la condizione degli oranghi del Borneo, l’unica riserva naturale che garantisce loro l’habitat. Privati dei loro alberi, gli oranghi devono scegliere tra perire e vivere sulle instabili, sterili palme. E quando ne mangiano i frutti, spinti dalla fame, la morte arriva tramite il fucile di un coltivatore.
Nonostante i costi bassi, la palma garantisce elevate rese produttive, il ché è da una parte fonte di enorme profitto, ma a lungo termine rivela un effetto devastante. Le palme, infatti, fruttificano per tre anni, dopodiché si deve rinnovare la piantagione, radendola al suolo tramite incendi, che progressivamente portano alla laterizzazione (sterilità del suolo), accresciuta anche dall’utilizzo di diserbanti e agrochimica. La deforestazione sarà irreversibile.
Un altro pregio fondamentale dell’olio di palma è la sua incredibile versatilità. Può essere usato nella realizzazione di prodotti che vanno da cosmetici a sottoli, da saponi a merendine. Ma questa sua versatilità è un freno allo sviluppo. L’olio di palma ha schiacciato la concorrenza, guadagnandosi la completa supremazia sull’economia mondiale e impedendo quindi la crescita di piccole e medie aziende. Non solo: come tutte le monocolture intensive, ha effetti devastanti sull’economia del paese esportatore, che viene sfruttato al massimo dalle multinazionali.
Ma ora arriviamo a ciò che forse più interessa la maggioranza di tutti noi. Quali sono gli effetti del consumo di quest’olio sulla salute?
L’olio di palma presenta le stesse caratteristiche del burro: è pieno di acidi grassi saturi. 100 grammi di olio di palma ne contengono infatti ben 47 grammi, mentre l’olio di oliva, ad esempio, solo 16. Come il burro, l’olio non fa male di per sé, ma è totalmente devastante per il corpo quando se ne consuma più del dovuto. Il problema è proprio questo: l’olio di palma è diffusissimo, si trova ovunque. Spesso è camuffato, dietro la scritta “olio vegetale” (resa illegale il 4 dicembre 2014 sotto una direttiva europea che obbliga le aziende a segnalare l’eventuale presenza del prodotto sulle etichette) – spia del fatto che è un prodotto nocivo, che le industrie cercano di nascondere. Lo consumiamo in quantità esorbitanti, che arrivano secondo alcune stime a 30-40 grammi al giorno. Vi immaginate di mangiare 40 grammi di burro ogni giorno? Questo causa l’accumulo di un unico grasso, fonte di svariate malattie capaci di danneggiare cuore e circolazione. Chi è più a rischio? I bambini, i principali consumatori di dolcetti e merendine preconfezionate. L’Organizzazione Mondiale della Sanità consiglia di consumare solo il 10 ? di quello che già si assume ogni giorno per evitare effetti negativi sull’organismo.
Ciò che si vede in televisione o su internet – come troppo spesso succede – è soggetto alla manipolazione delle aziende interessate. La propaganda delle multinazionali è terrificante: spot pubblicitari, siti internet, programmi televisivi vengono utilizzati per indirizzare l’opinione pubblica a favore dell’olio di palma. Gli studi dei nutrizionisti sono spesso commissionati dai venditori. In Italia l’AIDEPI (Associazione Industrie del Dolce e della Pasta italiane) ha investito oltre 500’000 euro nella campagna pubblicitaria pro olio di palma.
Ma cosa possiamo fare noi per salvaguardare la salute nostra e del mondo?
La risposta è spesso quella del boicottaggio passivo, ovvero il non-acquisto di prodotti contenenti olio di palma. Le alternative in effetti ci sono, anche perché molte industrie alimentari si sono attivate per togliere l’olio da alcuni loro prodotti. Esistono anche coltivazioni di olio di palma sostenibile, che garantiscono olio con origini tracciabili, prodotto nel rispetto degli ecosistemi ad alto valore di conservazione, non proveniente dalla conversione in piantagioni di aree sottoposte ad incendi volontari e che protegge i diritti dei lavoratori, promuovendo lo sviluppo dei piccoli produttori indipendenti.

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Di Giorgia Massitti
Studi scientifici dimostrano che da sempre la moda rappresenta la tendenza dell’uomo ad appartenere a un gruppo sociale. Oggi più che ieri la si riconosce nell’abbigliamento, nei modi di pensare, nelle macchine, nei locali da frequentare, persino l’orientamento sessuale può essere una scelta dettata dalla tendenza del momento. Ma come quest’ultima ha contagiato la società post-moderna?
Un’altra definizione di MODA é: “meccanismo di imitazione-differenziazione”; in quanto se da un lato rappresenta il desiderio di cambiare, dall’altro trasmette la tendenza ad uniformarsi, e molto spesso può causare effetti negativi. In una società definita “progressista” l’ottimizzazione dei tempi è essenziale; aggiungiamo a questo concetto l’idea di stile, ovvero ciò che risulta bello agli occhi degli altri, e amplifichiamo il tutto attraverso l’utilizzo dei nuovi social network. Il risultato sarà una popolazione facilmente strumentalizzabile dall’influenza delle nuove tendenze.
Siamo arrivati al punto in cui foto comuni di ragazze taggate come fashion-blogger possono diventare il punto di riferimento, fosse anche per il giro vita, di molte giovani followers. Ovviamente non esiste un unica sfumatura della situazione, di conseguenza posso affermare con certezza che il fattore moda costituisce ancora un valore determinante e positivo nella rivoluzione delle nostro piccolo caos chiamato vita.
La rivoluzione delle gonne degli anni 20 e l’affermazione della donna, non sono ricordi passati di un’influenza stilistica positiva. La moda odierna può ancora esprimere ideali giusti e validi, rendendoci fieri della nostra creatività e unicità. Le nuove ricerche su materiali ecosostenibili sono una delle tante prove che ci dimostra tutto ciò.
La risposta alla domanda iniziale non può quindi essere un netto sì o no: ci sono due facce di una stessa medaglia, guardare in avanti con occhi propositivi credo sia il nostro dovere, non giudicando il guardaroba o le tendenze altrui come qualcosa da criticare, ma far nostre le differenze che ci circondano. Così, forse, in futuro già presente, il buon stile ritornerà di moda.

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Di Cristina D'Antoni
ANNO: 2009; ATTORI: WILL SMITH, ROSARIO DAWSON, WOODY HARRELSON, MICHAEL EALY, BARRY PEPPER GENERE: DRAMMATICO
TRAMA: Il protagonista è Tim (Will Smith), un uomo che da anni crede di essere la causa dell’incidente che ha portato alla morte sette persone, tra cui sua moglie. Dopo essersi convinto di essere una cattiva persona decide di prendere il nome del fratello Ben Thomas (Michael Ealy) e di scegliere sette persone (sette anime), che siano buone e che abbiano bisogno di un aiuto ma sono troppo orgogliosi per chiederlo. Nella sua impresa incontrerà Emily, una donna malata di cuore che gli cambierà la vita.
Da subito il film ci viene presentato come drammatico, con un Will Smith molto scosso che al telefono dichiara di volersi suicidare. In seguito vi è un flashback, che illustra l’impresa di redenzione di Tim (Will Smith). Il regista decide di narrare i fatti attraverso l’uso di flashback sotto forma di ricordi da parte del protagonista. Sullo schermo troviamo un personaggio complesso e tormentato, che colpevolizzandosi per la morte della moglie arriva a credere di essere una persona cattiva. “Insignificante sarebbe una promozione per me” è la frase con la quale descrive la propria vita. In realtà c’è molto di più dietro al personaggio: egli è un uomo generoso, con una bontà grande quanto quella delle persone che aiuta. Tuttavia la sua generosità si dimostra come una tendenza a manie suicide. Spesso e volentieri mette gli altri davanti ai suoi stessi bisogni, una caratteristica che dimostra di possedere fin da ragazzo, come spiega il fratello Ben (Michael Ealy). Alla fine del film sarà questo a portarlo al suicidio.
Il film, scorrevole nei dialoghi, credibili ed intenso, manca di una scena principale che spieghi l’accordo che aveva con l’amico Dan (Barry Pepper) che lo ha aiutato e che conosceva le intenzioni del protagonista fin dall’inizio.
La colonna sonora fa in modo che lo spettatore provi le sensazioni che i due protagonisti stanno provando in quel momento.
Will Smith risulta come una specie di supereroe moderno cupo e tragico che cerca la redenzione mettendo sé stesso a disposizione del prossimo.
La storia di Emily si sovrappone a quella delle altre sei anime che vengono raccontate ma non gli viene mai data la stessa importanza, forse perché il vero modo di redimersi, per Tim, era quello di salvare la persona amata. Infatti, anche se si sentiva in colpa per le altre vittime, la più importante era la moglie.