SorrisoDiverso

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Il Cortometraggio nasce da un progetto di Sebastiano Colla e Annamaria Iacopini, entrambi attori e formatori dello spettacolo che, come loro stessi riferiscono, insieme al protagonista e agli altri ragazzi dei corsi di recitazione, hanno tratteggiato un percorso professionale e umano dove si parla di disabilità ma lo si fa con un linguaggio poetico e delicato.

Nonostante le inevitabili difficoltà che i ragazzi con difficoltà incontrano ogni giorno, l'amore, l'amicizia, la solidarietà, sono strumenti fondamentali per far riuscire a superare gli ostacoli.

Fin dalle prime sequenze, infatti, il corto evidenzia ciò che lo stesso regista, con altre parole, ha descritto nella sua presentazione; il potere nulla può contro la creatività, la compassione e la simpatia per il prossimo.

Il corto tenta di portare all'attenzione il problema dell'integrazione sociale, lo fa con un impianto visivo stilizzato che definisce il personaggio in un intreccio di elementi fisici, psicologici, reali e densi di autenticità. Molto interessanti le riprese nelle quali Edo, il protagonista appare al centro della scena, soprattutto quando è sul palco e gli occhi della professoressa e dei ragazzi sono puntati su di lui. Interessanti le riprese sulle scale, metaforico luogo di unione fra più livelli. I vari momenti sono raccontati con leggerezza ma anche con l'intensità di chi comprende le proprie difficoltà nello sguardo degli altri. É in uno di questi passaggi, mentre Edo recita sul palcoscenico che avviene una trasformazione e nella rappresentazione finale si passa dalla finzione alla realtà. Lo sguardo di Edo cambia come cambiano gli sguardi di chi lo osserva. Finalmente il protagonista si lascia andare e racconta sé stesso mentre è attore e protagonista allo stesso tempo. Un cortometraggio decisamente molto stimolante e ricco di significati che con soavità affronta un tema complesso e delicato e fa comprendere che non è importante la baruffa ma lo è l'abbraccio dopo la baruffa.

Critico: Paola Dei

 

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Giulia Merenda porta la sua macchina da presa nel carcere femminile di Rebibbia, a Roma, uno dei più grandi di Europa, per raccontare la quotidianità delle detenute e del loro impegno nelle encomiabili attività formative nei campi della letteratura, dell’apprendimento della lingua italiana, e, soprattutto delle tecniche agrarie, che le (ri)mettono in contatto con i ritmi della natura. Come dice loro Don Ciotti: “La terra è maestra di vita… la dimensione culturale terra terra e la natura sono indivisibili”. Il film ci porta a riflettere sulle disuguaglianze sociali che emergono prepotenti dalla analisi dei vari personaggi. E su tutte le profonde ingiustizie che le producono. Di grande interesse sociologico ed antropologico.

Critico: Catello Masullo

 

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Max Nardari, prendendo lo spunto da una storia non originalissima, quella del risveglio da un coma che dura svariati decenni, che fa ritrovare il soggetto in questione in un mondo totalmente cambiato (lo stesso del recente “Quando” di Walter Veltroni, a sua volta tributario del “Good Bye, Lenin!”,  di Wolfgang Becker, del 2003), riflette sulla schiavitù che ci siamo imposti con i nostri cellulari,  con il contatto compulsivo, al limite del patologico, con i social, con conseguente perdita dei tratti di umanità che caratterizzavano il nostro genere fino a qualche anno fa. Il regista si fa un po’ prendere la mano, pigiando l’acceleratore sulle situazioni grottesche, al limite del parossistico, spesso sconfinando sopra le righe. Certamente con una certa efficacia rappresentativa.

Critico: Catello Masullo