SorrisoDiverso

Stella inattivaStella inattivaStella inattivaStella inattivaStella inattiva

Il cortometraggio di fiction di Fabrizio Fanelli, come racconta lo stesso regista, ha uno stile documentaristico dove si respira il sapore popolare del cinema di Pasolini. Siamo al Quarticciolo, un quartiere di Roma legato a fatti di criminalità e droga fra borgate storiche e una realtà sociale complessa. Il cineasta ci mostra un bambino che cresce per strada e che preferisce stare con gli adulti, a cui viene indicato di non guardare per terra ma di osservare il cielo, puntando in alto.

Il primissimo piano di Elvis ci mostra subito un volto schietto, innocente, mentre gli occhi spiritati di un altro personaggio che vaga fra i vicoli e le abitazioni, sembrano connotarlo di un'aura folle e preveggente che evoca il personaggio di Benigni ne La voce della luna di Federico Fellini. Leggero, buffissimo, lunare, misterioso, corporeo, mimo, che fa ridere e piangere con il fascino dei personaggi delle fiabe, delle grandi invenzioni letterarie. Rigorosamente in bianco e nero per non indulgere a composizioni cromatiche, il cortometraggio biografico mostra   ambientazione e personaggi reali dove si respira in ogni momento una realtà autentica anche se ricca di sospensioni e simbolismi. Elvis rischia di essere dimenticato da tutti, a meno che non impari a guardare il cielo. Due note predominanti accompagnano il contrasto fra le due polarità presenti nell'opera: la terra e il cielo, la realtà e il sogno. Il cortometraggio apre a nuove prospettive estetiche e teoretiche. Un film misterioso e polisemico che rimanda al grande movimento armonico degli opposti ed alla possibilità di guardare anche ciò che non possiamo vedere esplicitamente ma che ci eleva da qualsiasi realtà.

Critico: Paola Dei

 

Stella inattivaStella inattivaStella inattivaStella inattivaStella inattiva

Il Cortometraggio nasce da un progetto di Sebastiano Colla e Annamaria Iacopini, entrambi attori e formatori dello spettacolo che, come loro stessi riferiscono, insieme al protagonista e agli altri ragazzi dei corsi di recitazione, hanno tratteggiato un percorso professionale e umano dove si parla di disabilità ma lo si fa con un linguaggio poetico e delicato.

Nonostante le inevitabili difficoltà che i ragazzi con difficoltà incontrano ogni giorno, l'amore, l'amicizia, la solidarietà, sono strumenti fondamentali per far riuscire a superare gli ostacoli.

Fin dalle prime sequenze, infatti, il corto evidenzia ciò che lo stesso regista, con altre parole, ha descritto nella sua presentazione; il potere nulla può contro la creatività, la compassione e la simpatia per il prossimo.

Il corto tenta di portare all'attenzione il problema dell'integrazione sociale, lo fa con un impianto visivo stilizzato che definisce il personaggio in un intreccio di elementi fisici, psicologici, reali e densi di autenticità. Molto interessanti le riprese nelle quali Edo, il protagonista appare al centro della scena, soprattutto quando è sul palco e gli occhi della professoressa e dei ragazzi sono puntati su di lui. Interessanti le riprese sulle scale, metaforico luogo di unione fra più livelli. I vari momenti sono raccontati con leggerezza ma anche con l'intensità di chi comprende le proprie difficoltà nello sguardo degli altri. É in uno di questi passaggi, mentre Edo recita sul palcoscenico che avviene una trasformazione e nella rappresentazione finale si passa dalla finzione alla realtà. Lo sguardo di Edo cambia come cambiano gli sguardi di chi lo osserva. Finalmente il protagonista si lascia andare e racconta sé stesso mentre è attore e protagonista allo stesso tempo. Un cortometraggio decisamente molto stimolante e ricco di significati che con soavità affronta un tema complesso e delicato e fa comprendere che non è importante la baruffa ma lo è l'abbraccio dopo la baruffa.

Critico: Paola Dei

 

Stella inattivaStella inattivaStella inattivaStella inattivaStella inattiva

Giulia Merenda porta la sua macchina da presa nel carcere femminile di Rebibbia, a Roma, uno dei più grandi di Europa, per raccontare la quotidianità delle detenute e del loro impegno nelle encomiabili attività formative nei campi della letteratura, dell’apprendimento della lingua italiana, e, soprattutto delle tecniche agrarie, che le (ri)mettono in contatto con i ritmi della natura. Come dice loro Don Ciotti: “La terra è maestra di vita… la dimensione culturale terra terra e la natura sono indivisibili”. Il film ci porta a riflettere sulle disuguaglianze sociali che emergono prepotenti dalla analisi dei vari personaggi. E su tutte le profonde ingiustizie che le producono. Di grande interesse sociologico ed antropologico.

Critico: Catello Masullo