SorrisoDiverso

Stella inattivaStella inattivaStella inattivaStella inattivaStella inattiva

“Lo Scarparo” è un film del cuore e un film de territorio. Fatto da Manfredoniani per i Manfredoniani. Un film che ha coinvolto oltre 200 persone, tra le quali circa 30 ragazzi nell’ambito del progetto “Un’impresa per amica”, che nasce nel 2017 con l’obiettivo della creazione di una filiera della legalità economica e sociale. Une metà dei ragazzi ha partecipato davanti alla macchina da presa, in qualità di attori e comparse, l’altra metà dietro le quinte collaborando ai vari mestieri del cinema. Scritto, prodotto ed interpretato da Anna Rita Caracciolo, diretto da quest’ultima, a quattro mani con Matteo Conoscitore, a sua volta coinvolto anche nel ruolo di attore. Un film epico, che abbraccia un periodo che va dagli anni ’40 ai nostri giorni, ispirato alla storia vera di Vincenzo Caracciolo, padre della regista, di recente scomparso. Denso di storia, di tradizioni, di sentimenti, di nostalgia. Il film è ben rappresentato dalla frase pronunciata fuori campo dalla stessa regista nel finale, a mo’ di esergo: “Mi viene in mente la famosa frase di S. Agostino: la misura dell’amore è amare senza misura. Lo diceva mio padre. Questo film è la storia di mio padre, ma in realtà è la storia di tutti i padri. Quei padri che ci hanno permesso di arrivare fino a qui.

Critico: Catello Masullo

 

Stella inattivaStella inattivaStella inattivaStella inattivaStella inattiva

La voce narrante fuori campo informa subito lo spettatore, ad esergo iniziale, che in Colombia ogni tre giorni viene assassinato un leader sociale. Il film focalizza, in particolare l’assassinio del 2019 di Mauricio Lezama, un filmaker ed attivista sociale che stava preparando un film su una sopravvissuta allo sterminio dei militanti del partito di sinistra Unión Patriótica da parte dello stato colombiano, come riconosciuto in una recentissima sentenza storica emessa dalla Corte Interamericana de Derechos Humanos (CIDH). Ma il film non si limita a raccontare questo grave assassinio: Ne prende lo spunto per riflettere sull’essenza del cinema, che definisce come “uno strumento scientifico, come un microscopio per esplorare la realtà”. Ed anche come potentissimo strumento di denuncia. Tanto potente da far talmente paura ai detentori del potere ad indurli a ordinare efferati stermini, pur di metterlo a tacere. Si possono sopprimere cento, mille voci, ma ne resterà sempre qualcuna a gridare allo scandalo. È quello che fa oggi la regista Monica Moya, raccontandoci la storia di Lezama. Rendendolo immortale, come le sue idee e le sue denunce. Con un uso intelligente ed efficace del materiale di repertorio, girato dallo stesso Lezama, oppure su Lezama. A vincere è ancora la magia e la potenza del cinema. Che fa la storia attraverso la pellicola, un oggetto di poco più spesso delle ali di una farfalla, come diceva un altro martire, grande facitore di film, Pierpaolo Pasolini. 

Critico: Catello Masullo

 

Stella inattivaStella inattivaStella inattivaStella inattivaStella inattiva

Matteo Di Fiore con il suo saggio di diploma al Centro Sperimentale di Cinematografia - Sede Sicilia ci immerge nella realtà del quartiere Borgo Nuovo, a 9 km dal centro di Palermo, dove è nato e cresciuto. Una zona dormitorio, senza spazi ludici per i bambini, senza spazi di comunità, che produce, inevitabilmente senso di emarginazione, di distacco dalla comunità. In definitiva un senso di mancata inclusione. Il regista ci racconta con sincerità le memorie della sua infanzia, quando cercava di evadere dalla “prigione” di ghettizzazione sociale di Borgo Nuovo con la fantasia del bambino. Significative le frasi che pronuncia verso la madre: “Io immaginavo di avere le ali e di volare. Tu mi dicevi di non agitare le braccia, che ti girava la testa. Io smettevo di agitarle, ma la mia mente continuava a volare…”. Oppure quando racconta allo spettatore: “A chi mi chiedeva dove abitavo, dicevo che la mia casa cominciava dal salone e finiva in cima alla montagna… quello per me era Borgo Nuovo”. Il film denota una ragguardevole capacità di analisi sociologica ed antropologica ed una buona padronanza del mezzo espressivo, con un sapiente uso dei registri intimistici per rappresentare la realtà più vasta.

Critico: Catello Masullo