SorrisoDiverso

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Do ut des lascia un sorriso amaro sulla bocca. Fa ridere, perchè tutti i personaggi, a parte la protagonista, sono pompati al massimo, ma al tempo stesso nella storia c’è della verità. Giulia è una donna della capitale che vive con sua madre ed ha un lavoro precario. Nella compagnia in cui è stata assunta una volta al mese tutte le dipendenti, per restare nella loro posizione, devono andare a cena con il Presidente, fino a quando non tocca proprio a lei. Con poca volontà di andarci ma con dei debiti da pagare, Giulia comincia prepararsi per andare alla cena. Da quel momento cominceranno una serie di equivoci che porteranno la situazione ad essere ribaltata. Il cast è capace di dare l’impostazione caricaturale adatta ai personaggi, mentre la protagonista è ben caratterizzata. Le riprese aiutano ad ambientarsi nel contesto romano insieme all’uso del dialetto. E’ un corto da prendere in considerazione con un sorriso sulla faccia, consapevoli che è un sorriso amaro. 

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Un bambino cammina da solo in un bosco, portando con sè una grossa valigia. La apre e inizia ad allestire con pochi semplici oggetti il suo teatrino personale, in silenzio e solitudine. Ma lui sa come riempire questo silenzio: bastano una musica solenne e gli applausi che il suo speciale pubblico gli riserva. Il bambino non sale sul "palcoscenico" come un attore qualsiasi, per interpretare qualcun altro, anzi, non vuole altro se non essere stesso e venire apprezzato, guardato, amato per quello che è. Riesce così a ritagliarsi il suo spotlight, poichè a casa non è più lui il protagonista, la scena gli è stata rubata dal continuo conflitto tra i genitori. Stronger sa trasmetterci con il solo ausilio dei gesti, degli sguardi e delle espressioni molto più di quanto potrebbero fare le parole. Possiamo così entrare in silenzio nel mondo del protagonista e assumerne la prospettiva. Particolarmente suggestivi sono i disegni del bambino che, seppur semplici, ci trasportano nella sua dimensione fanciullesca. 

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Rocco è un ragazzo proveniente da una famiglia rom che nella vita ha una grande passione, la musica, e un grande sogno, quello di poter andare a scuola. Entrambi saranno stroncati dal padre di Rocco, che invece lo vuole a lavoro con sé, pensando che sia la cosa migliore per lui e per la famiglia. Dopo un intervento del preside della scuola però, improvvisamente il padre decide di dare l’occasione a Rocco di frequentare le lezioni. Ed è qui che prende vita Maramandra, in un crescendo di musica e colori che confluiscono fino a creare un collegamento tra due mondi e due culture diverse. I personaggi, ben caratterizzati, sono interpretati in modo adeguato e, insieme ai dialoghi in dialetto, rendono l’opera realistica. Le immagini forse passano in secondo piano rispetto alla musica, che è una vera e propria colonna portante del corto ed è ciò che lo anima. Non mancano elementi misteriosi, come la parola “malamandra”, dal significato imprecisato, e la figura del mastro liutaio chesi intravede appena. Un bel corto che sa creare un collegamento forte e vantaggioso tra diverse culture.