SorrisoDiverso

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Diretto e scritto da Alex Nardi, pseudonimo di Claudio Banchelli, e basato sul racconto El continente crea el contenido, dello stesso autore, T-Rexed racconta una storia girata e montata con strumenti semplicissimi. È sempre Alex Nardi che gestisce le riprese, fotografia, suoni e montaggio, con l’assistenza tecnica di Michele Franzese, e impersona, per giunta, il personaggio principale. Un cortometraggio, dunque, che dimostra come le idee possano essere messe in scena anche con pochi mezzi elementari e con un cast tecnico non necessariamente composto da un gran numero di elementi.

Il protagonista è un uomo che vive da solo. Prende delle pillole, è in contatto con una dottoressa che segue il suo caso e si assicura che l’uomo curi regolarmente le patologie da cui è affetto. Ha anche un figlio disoccupato che non riesce a incoraggiare o a indirizzare adeguatamente. Il suo carattere testardo e talvolta un po’ ostile gli aliena, tra le altre cose, le simpatie dei condomini. Inizialmente lo spettatore assiste alla sua routine estremamente ordinata di gesti e attività che gradualmente vacilla fino a destabilizzarsi del tutto, complici i conflitti con la dottoressa, con il figlio e con i vicini di casa che, sommati alla solitudine, portano l’uomo a lasciarsi andare a un lento degrado fisico e psicologico.

Scegliendo il bianco e nero per il cortometraggio e adottando uno stile dal taglio documentaristico, il regista mette in scena atti della quotidianità del protagonista, interrotti da tagli netti e impilati l’uno dopo l’altro per dare risalto alla routine del personaggio e soprattutto alla graduale trasformazione che subisce nel corso dell’opera, scivolando inesorabilmente nell’incuria e infine nell’autodistruzione. Poche sono le scene, invece, a colori e tutte riguardano gli scenari che esulano dalla vita degradata del protagonista, annegata nel grigiore e nella solitudine da cui lo spettatore trova tregua solo quando la prospettiva cambia e si assume quella del figlio del personaggio principale, interpretato da Fabio Francisco Banchelli Gracia, in cerca di un futuro più promettente in un altro Paese.

Il racconto di Alex Nardi rappresenta la solitudine come una condizione che priva le attività della loro rilevanza, le trasforma in gesti vuoti, meri atti di sopravvivenza, senza un reale scopo. Alla fine, questa visione finisce per coinvolgere la vita stessa del protagonista, percepita irrilevante: si svolge lontana dallo sguardo del prossimo, precipita al centro di una realtà indifferente e si estingue senza far rumore.

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ITA - Aitor Herrero dirige e scrive un cortometraggio d’animazione sul quale ha lavorato un grande team artistico, composto dagli alunni della scuola Barreira Arte y Diseño, coordinato da Ignaci Meneo per le animazioni, Adolfo Aliaga per l’illuminazione, Germán Chazarra per la modellazione. L’autore mette al centro del suo cortometraggio animato il disturbo ossessivo compulsivo, un tema originale tanto più se si pensa alla collocazione del cortometraggio, ambientato nell’età della pietra. L’opera è muta, salvo per le esclamazioni dei due protagonisti, ‘Toc’ e ‘Bum’, che corrispondono anche ai rispettivi nomi. Al di là di queste onomatopee, le interazioni dei personaggi, complice la collocazione temporale, sono affidate ai gesti e alla mimica, frutto di un’animazione accurata e tutta rivolta all’efficacia espressiva del linguaggio del corpo.

Toc è il protagonista, un uomo preistorico con un disturbo ossessivo compulsivo che lo porta ad assumere comportamenti insoliti, come allineare sassolini in fila indiana e ripulirsi il viso ogni qualvolta entra in contatto con un corpo esterno. Un giorno si imbatte in Bum, una donna dall’aria minacciosa che circola con una clava ma di cui Toc si invaghisce immediatamente. Dopo averla salvata dall’aggressione di un animale feroce, i due cominciano a legare e a convivere nella stessa grotta. I disturbi di Toc, tuttavia, creano un malinteso che rischia di mettere a repentaglio il suo legame con Bum. A Toc non resta che trovare un modo, il suo modo, per farle comprendere i suoi reali sentimenti.

Le musiche di Marco Chiavetta e Oscar Lundberg accompagnano le vicende rappresentate dal corto, sottolineando i cambi di atmosfera, in particolare i momenti comici e le risoluzioni felici che esplodono in uno scroscio di sonorità allegre. L’autore scrive il cortometraggio con sensibilità, aiutando lo spettatore non solo a provare empatia per l’adorabile protagonista dell’opera e per i disagi che interferiscono con alcuni aspetti della sua vita, ma rintraccia e mette in scena una strada attraverso la quale la diversità di Toc possa trovare la sua espressione e divenire, perciò, una risorsa e non un limite. Un modo tutto suo di stare al mondo e interagire con gli affetti.

La ripetizione, nel corto di Aitor Herrero, non è più semplicemente ossessione, ma è abbondanza, in questo caso di sentimenti. Ciò che rende strano Toc produce qualcosa di bello e lascia una traccia ancora oggi visibile, stando all’idea alla base del corto, a distanza di migliaia di anni.

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ENG - Aitor Herrero directs and writes an animated short film on which a great artistic team, composed by the students of the Barreira Arte y Diseño school, has worked, coordinated by Ignaci Meneo for the animations, Adolfo Aliaga for the lighting, Germán Chazarra for the modeling. The author chooses obsessive-compulsive disorder as the topic of his animated short, an original subject even more when one thinks about the time period of the short film, set in the stone age. The work is mute, except for the protagonists’ exclamations, 'Toc' and 'Bum', which also correspond to their respective names. Aside these onomatopoeias, the interactions of the characters, even thanks to the temporal collocation, are entrusted to the gestures, the result of an accurate animation totally aimed to the expressive efficacy of the body language.

Toc is the main character of the short film, a prehistoric man with an obsessive-compulsive disorder that leads him to unusual behaviors, such as lining up small rocks in single file and wiping his face every time something touches him. One day he runs into Bum, a menacing-looking woman who circulates with a club but whom Toc immediately falls in love with. After saving her from the attack of a ferocious animal, they begin attached to each other and to live together in the same cave. Toc's disorder, however, creates a misunderstanding that threatens his bond with Bum. All that Toc has left to do is to find a way, his own way, to let her understand his real feelings.

The music by Marco Chiavetta and Oscar Lundberg accompanies the events represented by the short film, underlining the changes of atmosphere, in particular the funny moments and the happy solutions that explode in cheerful melodies. The author writes the short film with sensitivity, not only guiding the audience to feel empathy for the adorable protagonist of the work and for the discomforts that interfere with certain aspects of his life but tracing a way through which Toc’s diversity can find its expression and become a resource and not a limit. In other words, his own way of being in the world and interacting with his loved ones.

Repetition, in Aitor Herrero's short film, is no longer only an obsession, but it is abundance, in this case abundance of feelings. What makes Toc strange produces something beautiful and leaves a mark still visible today, according to the idea behind the short film, thousands of years later.

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Il cortometraggio è scritto e diretto da Monica Mazzitelli, mentre fotografia, montaggio e sonoro sono a cura di Mikael Moiner per The Wedding Cake, brevissima ma conturbante opera d’animazione in stop motion che mette in scena una storia straziante, attraverso delle miniature e una torta nuziale. Facendo uso di una tecnica innovativa e di immagini che assommano in sé una grande quantità di significati, l’autrice riferisce la vicenda di una donna costretta da una concatenazione di circostanze sfortunate e ricatti d’ogni genere a prostituirsi. Il cortometraggio si pone quindi sia come racconto di un’esperienza individuale, tratta da una storia vera, ma anche e soprattutto come una denuncia sociale verso lo sfruttamento del corpo consumato come merce, come una torta nuziale che promette una gioia coniugale destinata a non realizzarsi mai, servita alla mercé dei convitati.

Una donna, rappresentata come la figurina felice sulla cima di una torta, racconta la propria storia, partendo dall’incontro con Pavel. La protagonista lo conosce a una festa e dopo quell’occasione resta incinta. Il matrimonio pare essere la naturale evoluzione delle circostanze, ma il futuro non si prospetta roseo. La donna non conosce il lavoro di suo marito, tanto per cominciare, lui in casa è quasi inesistente e lei è costretta a crescere praticamente da sola le sue due figliolette. Alla fine, l’uomo sparisce senza lasciare traccia, lasciando sua moglie sommersa dai debiti, con il rischio di perdere l’affidamento delle sue bambine e di finire in prigione se non salda. Le porte le si chiudono davanti una alla volta, i suoi risparmi e quelli della sua famiglia sono stati consumati da quel matrimonio sfortunato. La protagonista, allora, volge lo sguardo verso la possibilità di una soluzione estrema.

La tecnica dell’animazione stop motion mette in risalto, su tutto, la sequenzialità e quindi il tempo e i suoi effetti. La torta, rappresentazione del matrimonio, ma soprattutto delle speranze di felicità coniugale e metafora, infine, del corpo della protagonista e degli anni che inevitabilmente trascorrono, viene di scena in scena sventrata, fatta a pezzi e consumata. La voce fuori campo di Astrid Hallén esprime con tono fermo e un registro asciutto, per questo ancora più agghiacciante, il racconto della protagonista, sostenuta da un sottofondo che sottolinea la spaventosa realtà descritta. L’orgoglio e l’amor proprio della donna vanno via pezzo per pezzo, fetta dopo fetta, ceduti solo per mostrare quanto terribile sia sopravvivere al proprio graduale smembramento.