SorrisoDiverso

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ITA - Scritto e diretto da Susana Ramírez de Arellano, il cortometraggio, attraverso il concatenamento delle scene concepite dall’autrice, delinea un climax di angoscia che culmina nel momento in cui ne viene smascherata la fonte. Questo crescendo viene ricalcato dalla fotografia, dalle musiche, dal trucco sul volto dell’attrice, unica protagonista del cortometraggio. Attraverso questo espediente, l’autrice progetta un percorso che cava dal personaggio il suo non detto, incalzandolo implicitamente con l’imperativo del titolo, finché alla fine la verità di un dolore sepolto non prorompe in un urlo, in una delle scene più belle e intense dell’opera.

Daniela è a casa da sola, immersa in ambienti chiari e luminosi che per certi versi riflettono il suo umore. La sua giornata procede in un’atmosfera di perfetta armonia, finché qualcosa non interviene, di colpo, a turbarla. La serenità di Daniela è artificiale e una nube di oscurità arriva a ricordarglielo, aleggiando attorno a lei, durante momenti diversi della sua giornata, per disseppellire un trauma che non si lascia deporre. Daniela lotta contro i suoi attacchi di panico, cerca di ripristinare la routine, di estrarre degli spunti di gioia da immagini e profumi che dovrebbero suscitare bei ricordi ma che, puntualmente, rimandano a un episodio di violenza. Lentamente le storture vengono a galla, affiorano dalla pelle di Daniela, attraverso ferite sul corpo, tumefazioni sul volto che nessuno strato di trucco può coprire.

Con un gruppo composito, dedicato alla realizzazione degli effetti speciali attraverso due software e coordinato da María De La Iglesias e José Iván Pérez Santander, il cortometraggio si serve di strumenti moderni e suggestioni dalle implicazioni drammatiche per rendere visivamente l’onda di angoscia che a ritmo regolare si innesta nella quiete forzata di Daniela. Le musiche curate da Morgana Acevedo si combinano con il sonoro per sottolineare il passaggio da un clima idilliaco alle atmosfere sinistre con cui evolve il cortometraggio.

L’attrice protagonista, l’intensa Cristina Gallego, si spende in un’interpretazione appassionata che sa rapire il pubblico e comunicargli il senso d’angoscia e di persecuzione del personaggio. Lei stessa cambia il suo aspetto, in particolare il volto, nel corso dell’opera, anche per effetto di un trucco ben realizzato, curato da Francisco Sanz e Ana Zaragoza, che non mimetizza, ma risalta la maschera della protagonista e, nelle ultime scene, la fa cadere definitivamente.

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ENG - Written and directed by Susana Ramírez de Arellano, the short film, through the concatenation of the scenes designed by the author, outlines a climax of anguish that culminates in the moment in which its source is unmasked. This crescendo is highlighted by the cinematography, the music, the sole actress’ makeup. Through this expedient, the author designs a path that extracts from the character her unspoken trauma, implicitly pressing her through the imperative tense of the verb in the title, until at the end the truth of a hidden pain breaks out in a scream, in one of the most beautiful scenes of the work.

Daniela is alone at home, immersed in clear and bright space which, in some ways, reflects her mood. The day goes on, in an atmosphere of perfect harmony, until something intervenes to disturb it. Daniela's serenity is artificial, and a cloud of darkness reminds her of it, hovering around her, in different moments of her day, to exhume her suffering. Daniela fights against her panic attacks, she tries to restore routine, to extract feelings of joy from images and scents that should arouse good memories but which, instead, recalls an episode of violence. Slowly all the distortions come to the surface, emerge from Daniela's skin, through cuts on her body, bruises on her face that no make-up could cover.

With a composite team dedicated to the creation of special effects through two software programs and coordinated by María De La Iglesias and José Iván Pérez Santander, the short film uses modern tools and suggestions with dramatic implications to visually communicate the growth of anguish that bursts into Daniela's forced quiet. The music by Morgana Acevedo is combined with the sound design to highlight the transition from a peaceful atmosphere to the sinister climate with which the short film evolves.

The actress, the intense Cristina Gallego, performs a passionate interpretation that captures the attention of the audience and communicates the character’s sense of persecution. During the development of the work, the audience can see the main character’s transformation through her face, also thanks to the make-up, curated by Francisco Sanz and Ana Zaragoza, which does not camouflage, but portrays the protagonist’s mask and, in the last scenes, lets it definitively fall.

 

 

 

 

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Nato da un’idea di Clotilde Grisolia, con la sceneggiatura di Nancy Guarino e diretto da Nicola Surace, responsabile anche delle riprese e del montaggio, Si Va in Scena è un cortometraggio che ha coinvolto la scuola e associazioni culturali e teatrali del comune di Mercato San Severino, tra cui la scuola di teatro “Crescere Insieme Oltre il Teatro” e la Scuola Primaria Plesso Emilio Coppola. L’opera combina il tema dell’accettazione di sé, con le attività ricreative di gruppo, come la danza e il teatro, quali strumenti per creare una sinergia e uno scambio tra l’individuo e il prossimo. Attraverso un monologo iniziale e le successive interazioni, il cortometraggio guida lo spettatore sulla scia del percorso della protagonista, una ragazza omosessuale che teme di non essere accettata dai suoi coetanei e amici e, ancor più, di essere sminuita dalla banalità delle definizioni.

Nancy, la giovane protagonista del corto, si dirige verso la scuola di danza che frequenta con le sue amiche. Arriva in ritardo, la lezione è sul punto di iniziare, ma le ragazze la trattengono prima che vada a prepararsi, per chiederle se verrà alla festa di un amico comune. Pare che ci sarà anche Vincenzo, un ragazzo che ha da tempo mostrato un interesse per Nancy. Lei è titubante e non sembra entusiasta del fatto di avere uno spasimante. In realtà a lei piacciono le ragazze, ma ha paura di confessarlo alle sue coetanee. Il momento della festa arriva, Nancy ci è andata, ma non si sente sé stessa. Ormai per la protagonista sembra essere arrivato il momento di mettere le carte in tavola, smettere di essere ciò che gli altri si aspettano e iniziare a vivere in un modo che la renda davvero felice.

Nel cortometraggio, ‘andare in scena’ rappresenta l’obiettivo di ogni genere di percorso formativo, significa arrivare sul palco – e in senso più ampio affacciarsi agli anni della maturità – come persone pronte a mettere in atto quanto imparato, consapevoli delle proprie doti e dei propri limiti e decise a mettersi alla prova su entrambi i fronti. La vita diventa così un saggio del proprio percorso, idea espressa e richiamata a più riprese all’interno del corto per mezzo di una scrittura e di una trama lineari, che puntano dritte al messaggio.

I giovanissimi attori che impersonano i protagonisti del cortometraggio si applicano con innegabile dedizione alla rappresentazione degli stati d’animo dei loro personaggi, esprimendo l’insicurezza, la difficoltà nel reclamare il diritto alla propria unicità, ma anche la forza con cui, alla fine, superano le proprie paure e affrontano il palcoscenico.

 

 

 

 

 

 

 

 

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Diretto da Pierfrancesco Campanella, scritto dal regista e da Lorenzo De Luca che ne concepisce anche il soggetto, il cortometraggio tratta delle scomparse di minori, in Italia e nel mondo. L’assenza di una risposta alimenta la ramificazione di un’infinità di ipotesi e genera un’angoscia che non dà pace. Il cortometraggio offre, attraverso le sue inquadrature, una rappresentazione visiva della confusione interiore e dell’isolamento della protagonista che dà sempre più avvisaglie dei sintomi di un profondo disagio psichico e, per certo, di un’ossessione oramai sconfinante nel complottismo. La scrittura dell’opera, tuttavia, riserva anche una serie di colpi di scena che tengono alta l’attenzione dello spettatore e acuiscono il senso di disorientamento provato dal personaggio principale, impersonato nientemeno che dalla straordinaria Maria Grazia Cucinotta.

Mara è la protagonista del cortometraggio, una fotografa che vive da un anno reclusa in casa sua, isolata da vicini, parenti e amici, da quando il suo figlioletto, Roberto, è scomparso. Ossessionata dalle teorie sui circuiti sinistri da cui il bambino potrebbe essere stato inghiottito, Mara si documenta sulle tratte di organi e su organizzazioni sataniche che coinvolgono alte sfere del clero e della politica. Tra i suoi rarissimi contatti con l’esterno c’è il blog su cui scrive e attraverso il quale espone al pubblico del web i risultati delle sue indagini. Il suo compagno, i familiari e la sua vicina tentano a più riprese di stabilire un contatto con lei e superare la porta che separa Mara dal resto del mondo. Lei però respinge tutti quanti e senza mezzi termini li accusa di essere coinvolti nella scomparsa di suo figlio. L’unica persona che riesce ad attraversare la soglia della casa di Mara è la sua psicologa, il solo aiuto che la donna abbia cercato.

La scenografia a cura di Laura Camia coopera con una fotografia diretta da Sacha Rossi e con la regia di Pierfrancesco Campanella, per suggerire, attraverso le immagini di un ambiente disseminato di fotografie e articoli di giornale, l’idea di un castello di carte a cui viene sottratto un elemento portante, con il conseguente crollo di tutto il resto. Lo spettatore osserva la vita di Mara in pezzi sparsi per la sua casa, perlopiù rappresentati proprio dalle fotografie di Roberto: un’immagine riprodotta in molteplici formati ma che serve a risaltare ancora di più l’assenza del bambino.

Maria Grazia Cucinotta, con la sua presenza scenica, veicola con maestria, attraverso le espressioni del viso, i movimenti e col tono di voce, non solo il dramma e la fragilità del suo personaggio, ma anche la sua determinazione. Con la forza di un impulso materno inarrestabile, Mara lotta fino alla fine, senza lasciarsi fermare dal grado di vicinanza e di parentela dei suoi sospettati.