SorrisoDiverso

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Briganti di Bruno e Fabrizio Urso

Briganti LocandinaLibrino è un quartiere periferico di Catania. Uno dei non pochi esperimenti urbanistici falliti. Negli anni ’60 fu chiamato l’archistar giapponese Kenzo Tange a progettare quello che doveva essere una sorta di città satellite d’avanguardia. Presto è diventata area di degrado, umano, prima che fisico. Librino è assurto ai clamori della cronaca per fatti tutt’alto che commendevoli. La storia, vera, della squadra di rugby, sia maschile che femminile, chiamata “Briganti” è davvero edificante. Nata sull’idea di uno degli allenatori-animatori volontari: “l’idea era di creare una filosofia di ribellione a questo stereotipo di Librino come quartiere della illegalità. Ed in effetti la squadra agonistica ha tolto dalla strada un gran numero di ragazzi. Ha dato loro uno scopo ed una speranza nella vita, invertendo lo stereotipo della strada segnata, senza possibilità di redenzione. Naturalmente ha dato fastidio a chi si è visto sottrarre manodopera potenziale ai propri affari loschi. E nel 2018 la clubhouse della squadra è stata data alle fiamme. Ma una straordinaria risposta di solidarietà l’ha fatta ricostruire l’anno dopo. Ed il progetto prosegue. Formidabile la storia, formidabile l’avvincente film che la racconta.

 

Serendip di Marco Napoli

Serendip LocandinaDiario di viaggio filmato, scandito in 5 capitoli: 1. Vision, 2. Roots, 3. Voices, 4. Choices, 5. Serendipity. Il titolo, Serendipity, che deriva da Serendip, l'antico nome persiano dello Sri Lanka, trova una magnifica definizione nel finale del film: “fortunata coincidenza di trovare qualcosa di meraviglioso mentre stai cecando qualcos’altro”. Metafora magnifica del significato più profondo di questa avventura di bellissima solidarietà. Se durante il viaggio il film rasenta il rischio della retorica, il bagno finale con i tanti bambini dell’antica Ceylon tocca le corde dell’anima e del cuore in modo irresistibile.

 

 

 

Solidarity Crime. The Borders of Democracy di Nicolas Braguinsky Cascini e Juan P. Aris Escarcena

Solidarity Crime LocandinaLa frase posta ad esergo iniziale del film è densa di significato: “All’inizio erano i migranti. Poi le persone solidali. Chi sarà il prossimo a perdere i diritti?”. È proprio questo il tema: i diritti.   La dichiarazione universale dei diritti umani è un documento sui diritti della persona, adottato dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite nella sua terza sessione, il 10 dicembre 1948 a Parigi con la risoluzione 219077A. Sembra che proprio nessuno se ne ricordi. In particolare dell’Articolo 13, che recita, testualmente: “Ogni individuo ha diritto alla libertà di movimento e di residenza entro i confini di ogni Stato. Ogni individuo ha diritto di lasciare qualsiasi paese, incluso il proprio, e di ritornare nel proprio paese”. Si applica a tutti gli esseri umani. Con una sola eccezione, la “sottospecie” migrante. Perché gli stati (la “s” minuscola non è un errore di dattilografia…) sono arrivati a non rispettare nemmeno le leggi che si sono dati. E criminalizzano coloro i quali invece tali leggi vorrebbero far rispettare ed attuare. I cosiddetti “solidali”. Che vengono incriminati e incarcerati. Questo film lo racconta come meglio non si potrebbe. Un film che ti fa indignare ed arrabbiare. Un film inoppugnabile. Urgente e necessario. Che andrebbe fatto vedere nelle scuole di ogni genere e grado. Il film chiude con un esergo finale al livello del capolavoro assoluto che è: “La paura si crea recidendo i legami di solidarietà. Rompi l’isolamento. Fai circolare queste informazioni”. È proprio questo che sta facendo la splendida selezione di Mimmo Calopresti per Tulipani di Seta Nera. È questo che dovremmo fare tutti.

 

Thunder’s five Milano di Jacopo Benini

THUNDERS FIVE MILANO LocandinaA4Quando ad uno degli allenatori esperti hanno proposto di costruire una squadra di baseball per ciechi, ha pensato fosse uno scherzo. Si è dovuto ricredere. E dopo 20 anni è ancora lì a lavorare come volontario accanito. In pochi anni la Thunder’s Five Milano ha vinto tutto quello che si poteva vincere. La richiesta di partecipazione da parte dei non vedenti milanesi era talmente ampia che hanno dovuto creare una seconda squadra, e l’hanno chiamata “Fulmini”. Manco a dirlo, di lì a poco la finale del campionato italiano di categoria è stata tra “Tuoni” e “Fulmini”. Il racconto è entusiasmante e coinvolgente. Anche se un minimo di spiegazione tecnica su come questo miracolo sia possibile, avrebbe favorito gli spettatori “nomo vedenti” ad essere più partecipi. 

 

 

SEZIONE CORTOMETRAGGI

Critiche di Catello Masullo

 

Custode di Pablo Arreba

Custode LocandinaQuesto film parla di AMORE e di tutte le sue variabili. Gioca con le diverse sessualità ma dalla visione di due personaggi profondamente innamorati. Parla dei diversi modi di avere un partner, con i toni del realismo magico, per far riflettere sull’assunto che non esiste una sessualità "corretta" (ex eterosessualità) e altre scorrette. Tutte sono valide e ogni volta ne compaiono di nuove con nomi molto curiosi (greysexual, pansexual, polyamory, ecc.). Il film presenta l'omosessualità come se fosse l'eterosessualità o la sessualità più diffusa e “accettata”, un capovolgimento che ci induce a riflettere su temi molto importanti e profondi per la società di oggi. Lo fa con profonda ironia e gustosa rappresentazione. Con soli due, straordinari protagonisti, ed un unico luogo. Magistrale.

 

L’affitto di Antonio Miorin

LAFFITTO LocandinaLa intensità e la densità del film è tutto nei due sorrisi delle protagoniste, Luisa Ranieri  e Yuliya Mayarchuk. Così profondamente diversi. Un sorriso solare, soddisfatto e rassicurante quello della Mayarchuk, quando dice: “…io non ho mai avuto problemi, mai un aborto, a me sempre tutto bene, tutto naturale. Un sorriso amarissimo quello della Ranieri, quando le risponde: “naturale… io ho otto fecondazioni fallite e una gravidanza biochimica, niente di naturale!”. Ma è questione di un attimo. I due sguardi si incrociano ancora, e i due sorrisi diventano alla fine simili, quasi contagiati dai neuroni specchio. Sorrisi che sono ora di complicità e di solidarietà. Ad aprire uno squarcio di luce in un futuro più radioso per entrambe. Il 38enne di Scafati Antonio Miorin mette in scena con maestria lo script di deliziosa sensibilità femminile di Iole Masucci. Gioca sapientemente sull’equivoco del contratto in via di stipula, per traghettare lo spettatore verso il colpo di scena finale. Stellari le interpretazioni.

 

Learning to lose di Sergio Milan

Learning to Lose LocandinaUn turbinio di intense emozioni avvolgono lo spettatore in soli cinque minuti di capolavoro cinematografico. Una storia vera, che vede nel ruolo della nipote protagonista la vera ragazza che l’ha vissuta, Beatrix Melgares. Donando al film un senso di verità e di autenticità insuperabile.  Sergio Milàn, che ha scritto e diretto, coglie l’essenza della trasmissione del sapere e del saper vivere, del sentimento e dell’amore disinteressato sublimato, che si trasmette dal nonno alla nipote. L’insegnamento supremo dell’arte di saper perdere, come strumento di crescita e di formazione. Bellissimo il respiro sincronizzato tra nipote e nonno che sta esalando i suoi ultimi, a testimoniare un legame indissolubile, un diapason all’unisono. Formidabile la lacrima di esergo finale di Beatrix, allo stesso tempo di dolore e di felicità.

 

Mi chiamavo Eva di Miriam Previati

Mi chiamavo Eva LocandinaIl film ha il merito di sollevare un tema che diventa ogni giorno che passa socialmente sempre più rilevante. Con rapide ed efficaci pennellate mette in luce con efficacia tutte le componenti essenziali del fenomeno: la comprensibile ingenuità nel credere che le immagini estorte con l’inganno possano restare nelle intimità falsamente promessa, la cinica, violenta, criminale premeditazione dell’ingannatore, lo stigma sociale che si fonda su pregiudizi atavici e che si manifesta con un bigottismo estremista che non concede nulla alla comprensione ed alla umana solidarietà. Il film denota un buon governo del mezzo espressivo, uno sguardo originale e promettenti capacità attoriali, oltre che autoriali, della autrice, regista, protagonista, montatrice, soggettista e sceneggiatrice Miriam Previati, ferrarese di origine, ma romana d’adozione.

 

 

 

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CAPOLINEA di Saverio Deodato

Capolinea Locandina Un uomo al volante si racconta al suo passeggero: una confessione viscerale in mezzo al traffico romano. Deodato, nella doppia veste di attore e regista, porta sulle sue spalle un'opera originale e sanguigna, con un finale che guida verso un cambio di prospettiva e conduce a una riflessione quasi monicelliana sulla condizione dell'uomo.

 

 

 

FAULA di Massimiliano Nocco (Miglior Attore Young)

Faula LocandinaUna Sardegna aspra, selvaggia e pregna di tradizione è paesaggio dell'anima in questo corto sulla potenza della “faula” - la bugia -, in cui spicca il talento del piccolo Kevin Statzu, che contribuisce con una genuinità straordinaria alla forza visiva ed espressiva dell'opera.

 

 

 

 

 

 

IL CIOCCOLATINO di Rosario Petix

Il cioccolatino LocandinaDue donne, due generazioni, due nostalgie: riscoprire il conforto del ricordo grazie a un cioccolatino, aggrapparsi alla memoria come unica fonte di equilibrio. Un'opera intensa nella sua semplicità, che tocca corde diverse, raccontando la malinconia, il tenere nella mente e nel cuore gli affetti per non perdere sé stessi.

 

 

LA PERDITA di Alberto Marchiori

La Perdita Locandina Il dramma della solitudine degli anziani: questo cortometraggio tocca un problema attualissimo che genera emozione e sconforto. La protagonista ha il coraggio di chiedere aiuto dopo una vita passata a essere un incrollabile punto di riferimento, troverà inaspettate e salvifiche complicità dal quotidiano. Un'opera che, complice una messa in scena asciutta e rigorosa, restituisce tutta l'intensità emotiva di cui si fa portatrice.

 

 

 

 

 

ROBERTO di Carmen Cordoba Gonzalez

ROBERTO LocandinaRaccontare i disturbi del comportamento alimentare è sempre rischioso: Carmen Cordoba Gonzalez ci riesce alla perfezione, restituendo la sofferenza e le mille implicazioni di queste problematiche con un cortometraggio d'animazione delicato e commovente.

 

 

 

 

 

 

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La voce di Luca Grimaldi

La voce LocandinaEntrare nelle immagini spigolose di una narrativa in nero girata come un thriller su fondo blu è funzionale alla regia per far percepire allo spettatore un senso di malessere pervasivo e disturbante. Il blu possiede aspetti d’ombra importanti che, nel corto di Luca Grimaldi, descrivono un sentimento inquietante e delimitano lo spazio di un legame dove le mani, evidenziate in momenti diversi del film, sembrano essere le protagoniste assolute della relazione e in tal modo si caricano di significati. Un dettaglio che il regista illumina attraverso chiaroscuri, con efficaci soluzioni fotografiche e montaggio. Una relazione disfunzionale dove i personaggi sono scorticati dalla loro stessa sofferenza, come ombre indissociabili dal loro corpo, eppure surreali. Ricordi scomodi, simbolismi, memorie, in quel blu che evoca la figura materna del protagonista maschile, di cui la ragazza sembra essere la presenza reincarnata. Il regista sceglie di usare il monocolore per raccontare i vissuti dei protagonisti, connotando la narrazione di una straordinaria potenza evocativa. Nel cambio di stanza, il bagno di colore giallo, rimanda alla follia, all’insicurezza e fa assumere alle sequenze un tono inquietante, presagio di sventura. Nonostante i colori irreali e la scelta registica, assolutamente condivisibile, di non mostrare il colore del sangue, le scene sono connotate da un grande realismo percettivo. Solo nelle riprese esterne il regista utilizza tutti i colori; interno ed esterno divengono metafora di interiorità ed esteriorità attraverso la temporalità degli accadimenti. Con pochi elementi visivi e sonori il regista ci racconta infatti un incontro connotato di tenerezza per poi approdare ad un presente che sa di incubo. Meritevole di attenzione è anche l’uso della musica che conferisce espressività alle immagini senza alterarne il senso. Il contenuto emotivo dei suoni assume infatti diversa intensità in base ai diversi momenti e il campo visivo si fonde con quello sonoro. Le note cambiano il ritmo e si fanno ambiente, alternandosi al respiro del protagonista maschile, mentre la ragazza ha solo voce ma manca di respiro. Una ottima soluzione di regia per accompagnarci alle scene finali che sono come un pugno nello stomaco e rivelano la vera natura del rapporto.

 

The Quarantine Path di Davide Lomma

The Quarantine Path Locandina2Una favola ecologica e una rivoluzione che evidenzia un ecosistema virtuoso catturato con una fotocamera durante il periodo del lockdown. In un mondo frenetico e dominato dalla corsa, sono i momenti come questi che consentono di
riscoprire i veri valori della vita e permettono una riflessione a tutto tondo sulla possibilità di tutelare l’ambiente in cui viviamo, sull’inquinamento, sugli animali a rischio di estinzione che, proprio in questo periodo, sono tornati a popolare habitat considerati a rischio. Lontano da finti umanismi e dalla presunzione di insegnare qualcosa, il regista ci racconta una esperienza individuale e positiva in un momento complesso come quello che abbiamo attraversato. Un modo per affrontare il periodo di quarantena del Covid19 in maniera costruttiva, fra lockdown e zone rosse. Come la maggior parte della popolazione, una famiglia si trova a vivere molte ore in casa senza potersi allontanare oltre i 200 metri, ma è proprio in quel terreno, a pochi metri di distanza metri da casa, che il protagonista scoprirà nuovi mondi, facendo scoccare la scintilla che risveglia in lui e nei bambini la curiosità. Inizia a pulire il terreno e piazza una telecamera.
La trama si concentra sulla scoperta di un mondo sconosciuto che riannoda un legame spezzato, abbattendo la linea di confine che separa le specie animali dall’essere umano e incastona la vita a colori dei bambini con le storie di animali filmate in bianco e nero, restituendo allo spettatore un progetto globale della natura. Gli animali a quattro zampe diventano parte della vita della famiglia che abita in mezzo a corridoi ecologici in maniera reciprocamente autonoma. Davide Lomma ci offre straordinari ritratti di organismi viventi che coesistono sulla terra insieme all’uomo e una sensazione unica di amore e unione con la natura. “Ho cercato di ritrovare un legame spezzato da generazioni” dice il protagonista, in una delle scene del film della quale in maniera semplice e diretta propone una riflessione filosofica, teologica e scientifica. Lo fa uscendo da una posizione antropocentrica e ottusa, ma facendoci comprendere che
l’evoluzione non ha un piano e l’essere umano non è migliore delle altre specie. La visione panoramica dall’alto con una inquadratura larga che evidenzia le mappe e i percorsi delle specie animali fotografate e filmate fra i corridoi ecologici che si popolano di notte, enfatizza la coesistenza di un tutto che vale più della somma delle singole parti. La scelta del regista di proporre la storia di un padre con i figli, senza mai mostrarci una madre, ma evidenziando la madre terra, appare originale e azzeccata e apre a riflessioni tutt’altro che banali. “Ci sono tempeste che vedi arrivare da lontano ma quando arrivano portano quell’acqua che la terra stava aspettando da tanto tempo” dice ancora il protagonista, facendoci comprendere come non si debba sempre maledire un evento che ci coglie di sorpresa. Spesso dietro a quell’evento scopriamo il miracolo della natura che si risveglia e che invita a riscoprire gli spazi di un tempo, la terra, la condivisione, i ritmi naturali del vivere e il rispetto per tutto ciò che ci circonda.

 

Verdiana di Elena Beatrice e Daniele Lince

Verdiana LocandinaUna storia di sentimenti che invoca anche il rispetto per l’ambiente, dove Angela Finocchiaro, perfettamente nella parte, assume le connotazioni di un essere etereo: fata o stravagante signora, che ha il compito di salvare un rapporto di coppia. Una relazione connotata da inadeguatezza comunicativa dove i protagonisti sembrano non sentire ciò che dice l’altro e non riuscire a farsi comprendere, come dentro una bolla creativa all’interno della quale è racchiuso solo uno dei due membri della coppia, evocata dalla compagna di Michele, il protagonista. Il “non sento, non parlo” diviene una asfittica realtà e i due compagni, dopo una serie di visite specialistiche e controlli, giungono da una Maestra Zen vestita di bianco con un volto senza trucco che, concentrandosi sul respiro, accoglie serenamente i due e comprende ciò di cui hanno bisogno: una piantina. Una lezione che, in contrasto con le interiorità abbandonate in mezzo ad una
epoca di sollecitazioni sfrenate, indica loro un percorso che gli permetta di riconnettersi con l’ambiente, rispettarlo e al tempo stesso, rispettare loro stessi. Non c’è superiorità di una cosa verso l’altra, anzi, abbiamo bisogno di entrambe e abbiamo bisogno di mantenerle entrambe in vita. Si trasformano i sentimenti e si trasformano i suoni e i colori utilizzati dai cineasti all’interno della struttura narrativa che ci accompagna a scoprire un semplice/grande nome: Natura. Le piante, esattamente come noi, attraverso le radici, hanno proprietà sensoriali e percepiscono informazioni sulla qualità dell’ambiente in cui viviamo. Elena Beatrice e Daniele Lince coppia nel lavoro e nella vita raccontano con delicatezza e originalità, senza scadere negli stereotipi, una deliziosa storia dall’incipit accattivante che permette a Luisa e Michele di ritrovare la complicità e, con essa, la voce e l’udito. I due, prima tristi, nervosi, inquieti e infelici, dopo la terapia Zen, scoprono che le piccole cose fanno parte dell’ecologia psichica e che i semi della serenità attecchiscono soltanto su un terreno concimato con affetto, altruismo, generosità, gentilezza.