SorrisoDiverso

Valutazione attuale: 5 / 5

Stella attivaStella attivaStella attivaStella attivaStella attiva

Respira di Lele Nucera

Respira LocandinaCon “Respira” Lele Nucera – già finalista del nostro Festival con “Maramandra” tre anni fa – dimostra non solo pieno controllo del racconto e della messa in immagini, ma il merito di aver calato il proprio cortometraggio dentro il tessuto in cui egli quotidianamente opera (anche attraverso la scuola cinematografica da lui fondata e diretta): la Locride, che qui diventa protagonista all'ennesima potenza, con le proprie architetture, le location naturali, gli attori e le comparse reclutati tutti in loco grazie a un imponente casting tecnico-artistico che ha coinvolto (e formato) quasi mezzo migliaio di autoctoni. Persone che, a loro volta, si sono immediatamente sentite parte integrante di un progetto strategico e lungimirante. “Respira” acquista così i caratteri di un “meta-film”, ci parla del suo piccolo protagonista e, nel contempo, della comunità reale da cui egli proviene e alla quale il regista guarda con tenace speranza e incrollabile fiducia.

 

The Hole di Angelo Frezza

The Hole LocandinaAngelo Frezza vanta un'ampia esperienza cinematografica, come autore e come produttore. Dopo la convincente prova di “Nero su bianco”, presentato l'anno scorso al nostro Festival, conferma con “The Hole” tutta la propria maturità narrativa e di sguardo. Per ottimizzare la produzione e garantire all'opera la massima pregnanza, egli ha scelto una location unica e due protagonisti soltanto (cui nel finale si aggiungono, rispettivamente, la stanza e la ragazza). Conscio della sua importanza, Frezza ha curato molto il sonoro, con modulazioni che rimandano agli abissi dello spazio e della coscienza e la complicità della corposa e magnetica voce di Ludovico Fremont. Infine, rinnovando la scelta felice di Adolfo Margiotta per “Nero su bianco”, Frezza ha voluto anche qui (per il ruolo del coprotagonista) un attore comico: Ninì Salerno, una delle sorprese più gradite dell'opera. Cui Salerno regala una gamma di registri drammatici che solo un attore che si è sempre confrontato con l'ironia e l'assurdo può offrire. In sede di presentazione, il regista ha rivelato al pubblico che la storia è la trasfigurazione di un fondamentale tassello della sua vita. E così la “necessaria verità” dei contenuti dell'opera è emersa in tutta la propria limpidezza. Sì, perché è quando si sa (o si ha presente, o semplicemente si teme) di dover lasciare questo mondo, che si anela a una pace interiore e dunque ci si domanda se si è stati – davvero e fino in fondo – delle buone persone.

 

Zagara di Martina Bonfiglio

Zagara LOCANDINALa roveretana Martina Bonfiglio, appena diplomata, s'è trasferita a studiare sceneggiatura a Roma (la medesima aspirazione della protagonista di “Zagara”); un paio d'anni dopo, ha girato il proprio cortometraggio in Sicilia. All'epoca delle riprese, quindi, aveva soltanto ventun anni, ma lasciava intravedere già la maturità artistica di un autore navigato. “Zagara”, infatti, se da un lato denuncia gli inevitabili limiti e le disomogeneità di un'opera d'esordio, dall'altro manifesta un'encomiabile padronanza del mezzo cinematografico, che si concretizza in un disinvolto impiego del piano-sequenza e in punti di vista sempre insoliti e stranianti – penso all'introduzione della figura del padre, “guadagnato” di spalle quando la figlia lo va a salutare, o ai discorsi fuori campo dei familiari mentre Lucia lavora in cucina, momento efficacemente spezzato dal grido, anch'esso fuori campo, lanciato dal padre, alla (impossibile) ricerca del cane «Rudi!». Un coraggio prezioso, quello di Bonfiglio, che ha potuto esprimersi al meglio anche grazie alla meravigliosa protagonista, l'intensa attrice siciliana Marianna Castagna.

 

SEZIONE #SOCIALCLIP

Critiche di Massimo Nardin

 

A San Michele

A San Michele LocandinaDavide Ambrogio, cantante polistrumentista, racconta in “A San Michele” la viscerale rabbia e le domande rimaste senza risposta che un figlio avrebbe voluto rivolgere al proprio padre, assassinato da quella stessa malavita con la quale era colluso. Il grido di dolore trasfigurato nella voce del talentuoso musicista si fa portatore di una terra intera e della sua millenaria storia, quella calabrese. Un brano sorprendente e dal magnetico fascino, capace di riunire nel medesimo istante gli echi ancestrali di una sfaccettata progenie mediterranea e le aperture alle contaminazioni di sonorità contemporanee e internazionali. Come poter raffigurare, quindi, un'opera già di suo completa e multisensoriale, una musica che evoca passo passo immagini di pervasiva potenza? Questo il dilemma cui si è trovato di fronte il regista e disegnatore del videoclip, Alessandro Ferraro. Il quale ha scelto – come spiegato alla platea del Festival “Tulipani di Seta Nera” – la via della sottrazione, una scelta obbligata e parimenti stimolante. Che ha permesso ai segni e alle figure di trasformarsi incessantemente gli uni nelle altre, di muoversi dentro un flusso che collega privato e collettività, mondi arcaici e suggestioni verso il futuro, riuscendo così in un'impresa impossibile, impreziosire ulteriormente un'opera d'eccellenza.

 

Addiction

ADDICTION LocandinaA4Aver selezionato un'opera come “Addiction” dimostra ancora una volta quanto il Festival “Tulipani di Seta Nera” sappia leggere i tempi e guardare oltre. Se il rock dei Måneskin vince Sanremo ed Eurovision, il metal post-progressive dei Myr scuote i tulipani neri con una intelligente folata di energia. Testo in inglese e in pieno stile rock duro, ritmo incalzante e tematiche quali la dipendenza (del titolo), il doppio, la perdita del sé, il riscatto. Adeguatamente omogeneo il video, diretto dallo stesso vulcanico leader del gruppo, Enrico Giannacco, un civitavecchiese che, come nume tutelare apparsogli in sogno, ha niente meno che quel genio sopraffino di Robert Fripp. Il video racconta di una ragazza e del disegno di un personaggio da lei realizzato dentro un'infinità creata senza posa. Il personaggio prende vita, fugge da quella stanzetta-mondo, si unisce ai suoi simili per poi distanziarsi, elevarsi sopra la moltitudine e vederla dall'alto. Il cerchio si chiude, per aprirsi con il confronto, improcrastinabile e conclusivo, con la propria stessa creatrice, dalle cui labbra escono le ultime parole della canzone.

 

Cavalleggeri è New York nella testa di Laura

Cavalleggeri e New York nella testa di Laura locandinaAvvicinare la meravigliosa voce di Tommaso Primo a quella del suo conterraneo – compianto e immortale – Pino Daniele è meno scontato di quel che sembra. Perché infatti si parla di “avvicinamento”, accostamento che avviene però nella distinzione sostanziale, nella misura in cui Primo va oltre il dono che le sue corde vocali gli hanno fatto, reinterpreta nella chiave più personale le sonorità non soltanto di Daniele, ma della terra e della tradizione che li uniscono. Ed è così che la profonda leggerezza della sua canzone, il lucido spaccato di un microcosmo (il rione Cavalleggeri) che dalle prime note si fa universale (la Grande Mela), trova il perfetto corrispettivo nel piccolo capolavoro realizzato dal regista del videoclip, Matteo Florio. Il quale sceglie la (scivolosa e ormai abusata) strada dell'unico piano-sequenza per raccontare la storia di Laura, ragazza madre sospesa – dentro la propria piccola abitazione – tra un lavoro degradante e l'amore per il figlioletto. Florio dimostra la rara capacità di unire la chiarezza alla densità: nell'unica inquadratura che costituisce il suo corto, nessun tempo morto, nessuna divagazione gratuita, tutto appare concentrato e focalizzato e, pure, autentico, come gli ambienti e la protagonista, un volto che regala una naturale, intensa e – come la ripresa – ininterrotta transizione nel più ampio ventaglio emozionale.

 

Con Sam (Chi Siamo)

Con Sam LocandinaUna produzione scolastica rischia spesso di essere segnata dalle esigenze comunicative e organizzative del momento e di risultare, quindi, sostanzialmente autoreferenziale e didascalica. L'opposto accade invece in questo mirabile videoclip, che porta alla ribalta il dolore e la caleidoscopica ricchezza espressiva della cultura rom, coinvolgendo proprio i suoi ragazzi ed artisti e facendoli “agire-con” un'intera comunità. Che è quella lombarda, paradigma di multiculturalità qui impreziosito da collaborazioni artistiche eccellenti. E così un'operazione di lodevole sensibilità e lungimiranza potenzia al massimo la carica comunicativa del brano musicale. Il “canto etnico” si fa “brano universale”, la memoria acquista quel riconoscimento collettivo che la rende base imprescindibile per un futuro di pace.

 

La Diversità

ladiversità locandinaUna coppia di affiatati disegnatori riesce a regalare l'interpretazione migliore alla canzone di Massimo Lazzeri, trentino come uno dei due animatori, Marco Raffaelli. “La diversità”, nel testo, nella parte musicale e ancor più nel videoclip, è un inno alla “fecondità della semplicità”. Perché, a ben guardare, “il re è sempre nudo”, basta un segno “+” rosso, in mezzo a figure nere stilizzate e animate, per indicarci la nefasta banalità dei muri, dei pregiudizi, dell'odio. Raffaelli ed Elena Sorrentino sanno bene che la semplicità è il punto d'approdo di un lavoro lungo e complesso. Un approdo che parte però da uno sguardo prezioso, perché capace, con la propria innocente trasparenza, di vedere il muro e il mondo che dietro si apre.

 

 

Perdere Tutto

Perdere Tutto locandinaCome dichiarato dallo stesso cantautore, il video prende le mosse da un suo incubo. Un incubo premonitore (della pandemia) e nel contempo vivificante, proprio perché stimolo per dare voce e fiamme ad una perdita potenzialmente totale. Il regista Daniele Barbiero ha saputo creare un vero e proprio piccolo film, in cui protagonista è la barriera tra l'artista e la comunità che si agita fuori, capeggiata dall'amata. Una barriera fisicamente invalicabile ma in realtà ampiamente superata dalle note e dal montaggio.

 

 

 

 

 

 

 

Stella inattivaStella inattivaStella inattivaStella inattivaStella inattiva

Harrag di Smail Beldjelalia

Harrag LocandinaClandestini. La vita errante di chi non ha colpe. La fuga via mare, la vita da perseguitati, clandestini senza meta. Vogliono solo vivere in pace, lavorare e magari dimostrare ai familiari che stanno meglio di quando sono partiti. Il dolore di una madre che non vuole vedere partire il figlio, che comunque tenta la navigazione mediterranea a rischio della vita: la confessione del giovane algerino, sfuggito dalla povertà dopo aver perso il suo lavoro, resta una sequenza assai commovente del film, ripresa con toni caravaggeschi. La sua voglia di affermarsi, di crescere e ricambiare l’amore materno, di vivere con onestà. È un film alquanto riflessivo, sulla sorte degli invisibili che vagano sulle nostre strade, nelle periferie, anche nei piccoli centri. Loro sono qui e non vogliono ritornare indietro da sconfitti, nonostante la forza affettiva sia sempre un richiamo come sirene. La loro tenacia riflette la stessa che ebbe Nino Garofali (Manfredi) nel finale del capolavoro Pane e cioccolata di Brusati.

 

Il direttore di Maurizio Orlandi

Il Direttore LocandinaÈ un film che documenta gli anni delle lotte nella Torino operaia anni ‘70, città in grado di metabolizzare non senza traumi i fermenti di un Paese in cerca di identità, di autocoscienza, fra battaglie sindacali e frange autonome che si sono poi sviluppate nella clandestina lotta armata. La storia del direttore della azienda toscana in Piemonte è il riflesso di un uomo perbene che diventa importante anche nei rapporti di lavoro e in famiglia. Una lettura filmica rigorosa e accorta ci accompagna sulle orme di Albo Orlandi, che era il padre del regista. Era nato a Gavorrano, nella Maremma toscana, dove faceva l’impiegato nella miniera di pirite della Montecatini, poi divenuta Montedison. Nel 1969, verrà trasferito alla Farmitalia di Settimo Torinese, come Direttore del personale. Il regista racconta, con la tenerezza di un album di famiglia, la capacità (parallela) di un Paese di reagire e fare proprie le inquietudini palesi, in quel decennio difficile. Di certo, non è semplice “fare pace” dopo mezzo secolo con esistenze che, alla lunga, si guarderanno con più rimpianti che esultanze. Di certo quella storia si riflette con quella di una comunità nazionale che ha gradualmente abbassato ogni fervida tensione morale e civile, quella sì, vittima di un presente politico per nulla edificante, se non da abiurare.

 

Libertà di Savino Carbone 

Libertà LocandinaLibertà di Savino Carbone. Siamo a Bari, nei mesi scorsi. Il quartiere di riferimento si chiama proprio Libertà. E stranamente confligge con il concetto stesso di essere liberi. Da cosa? Qual è il suo significato oggi? L’occhio attento del regista Savino Carbone segue i percorsi distinti di due migranti, un ragazzo ed una ragazza, con una caratteristica discriminante in più: sono omosessuali. Forse per la prima volta viene affrontata questa problematica che va ad aggiungersi alle altre. La loro condizione di richiedenti asilo in Italia diventa oltremodo insuperabile. Le due vite parallele, dopo aver lasciato con mezzi di fortuna (si fa per dire) il Senegal e la Nigeria, arrivano da noi e vagano per strade a loro ignote. Sono qui per sfuggire alle persecuzioni contro la comunità LGBT. Nei due paesi, infatti, l’omosessualità è un reato punito con il carcere e dove vige la Shari’a, la lapidazione. E poi la Libia, da dove partono i barconi, ritenuto “paese di morte!” è semplicemente tenera la confessione dei due migranti quando mettono a nudo la propria intima sessualità, con il timore di esprimerla. Mentre i due vivono in una sorta di sospensione esistenziale, in Italia iniziano a manifestarsi gli effetti tragici dei decreti sicurezza voluti dalla Lega. La dignità di due quei giovani stride contro l’arroganza e l’opulenza di politicanti che non la meritano e la ostentano nelle sconfortanti apparizioni televisive. La loro sorte ci lascia carpire quanto importante sia vivere in un paese libero (il nostro, pur con tutti i suoi difetti), e chi invece proviene da dittature ataviche, cui l’Occidente non è esente da colpe.

 

Niños Maya di Veronica Succi 

Ninos Maya LocandinaVeronica Succi con il suo straordinario viaggio fra i “Niños May”, rivolge un carezzevole sguardo all’infanzia talvolta violata dei bambini e degli adolescenti fra quelle popolazioni ancora poco sfiorate dalla “civiltà”. Mondo Maya, Latino America, nel quale la civiltà precolombiana aveva maggiore rispetto per i minori e per le donne. È talvolta uno sguardo di madre o di fratello maggiore, mentre l’occhio della camera scruta ogni particolare, nei gesti spontanei dei bambini, un po’ imbarazzati dalla nuova situazione: essere ripresi in un attimo di protagonismo in una storia che forse non interessa a nessuno, oltre quei luoghi remoti e bellissimi. È pertanto un film necessario questo della Succi, mentre osserva la gioia negli occhi dei bambini Maya e con un invito solidale e umanitario, volto a migliorare le condizioni dell’infanzia di quel mondo violato. Questo documentario è dedicato a tutti i bambini incontrati durante le riprese e, in particolar modo, a coloro che non ci sono più. È un film commovente.

 

Sisterhood di Domiziana De Fulvio

Sisterhood LocandinaSi intrecciano idealmente, pur vivendo in parallelo, le vite di ragazze che amano il Basket, quale momento di confronto e di aggregazione. L’attenta e serrata regia di Domiziana De Fulvio ci conduce nei campi di basket urbani, da Beirut a Roma e fino New York. Le immagini nitide e non convenzionali ci mostrano come le ragazze sfidino il loro tempo, la loro quotidianità per rendersi partecipi di un gioco che poi no n è solo un gioco: è metafora di aggregazione e di accoglienza, di solidarietà e di armonia dei corpi. Che indossino l’hijab oppure no, che siano bianche o di colore, che siano giovanissime o meno, tutte giocano e affrontano a viso aperto la quotidiana guerra non scritta verso gli stereotipi di genere, discriminanti e socialmente pericolosi. La partita in gioco è fare un canestro in più, arricchire il conto con il tabellone della vita.

 

Vuoto a perdere di Alfio D’Agata

Vuoto a perdere LocandinaFanno tutte e tutti una profonda tenerezza. Alfio D’Agata, nel suo “Vuoto a perdere” consegna una visione diversa di trattare la diversità. Le storie raccontate da Alessia, da Angela, da Mara, Masha, da Gaetano e Dalila creano un alone di rimorso verso quanti spesso discriminiamo, da parte di chi, sentendosi “normale”, rivolge loro uno sguardo obliquo, distorto quasi, sprezzante spesso. Alfio D’Agata fa un’operazione di quelle non facili in una Sicilia ancorata come da tradizione ad un mito di maschio che non lascia scampo ad equivoci. La sua incisiva visione svolge un ruolo fra il terapeutico e l’ammaliante: una liturgia che diventa preghiera, che evoca indulgenza. E così, il film scorre con un crescendo di ansiosa perspicacia carezzando quelle persone, qualcuna chiede addirittura perdono, a Dio e al mondo. Quando saremmo invece noi a chiedergli perdono. Un film da trasmettere soprattutto a quanti si sentono padroni del mondo e della vita degli altri. Film coraggioso.

 

 

 

 

Valutazione attuale: 5 / 5

Stella attivaStella attivaStella attivaStella attivaStella attiva

Acustico di Valerio Matteu, artista Veronica

Acustico LocandinaVeronica canta, canta di bianco vestita, canta un testo tutto sommato abbastanza facile, quasi elementare, e il suo bianco, forse è la stagione, ci ricorda il clima festoso di una prima comunione festeggiata in famiglia nel bel mezzo di un bel giardino. Tutto è molto facile e lineare, e in fondo anche la Veronica in abito da sera rosso con i lustrini non evoca femmine peccaminose.  Eppure la sua voce non riesce a raggiungere la mente di quel bel volto maschile, lo sguardo puro ma perso in un infinito solo suo. Le orecchie sono chiuse nella cuffia della malattia e della sofferenza. Tema difficilissimo, quello dell’autismo, trattato con delicatezza, direi col pudore e il rispetto che ogni malattia merita. Molti primi piani su un bel volto. Mentre il frastuono del traffico ci ricorda l’affannarsi di una società nella quale il frastuono ci impedisce di capire e accogliere le molte grida di chi chiede invano il nostro aiuto.

 

Etica Peletica di Antonella Barbera e Fabio Leone, artista Davide Campisi  

Etica peletica locandinaÈ il trionfo dell’intelligenza. Come ottenere il massimo risultato col minimo sforzo. Ovvero come fare un piccolo capolavoro in famiglia, trasformando il nonsense di una filastrocca in un mantra degno di monaci tibetani allegri che cantando in coro e trasmettono pace interiore, ma soprattutto gioia di vivere. Una inusuale ninna nanna, con parole in buona parte inventate che, giocando sulle assonanze, si ripetono sempre uguali al suono del battito delle mani, in un vortice di sorrisi, bocche, volti di bambini e adulti, lampi di luce con la magia del bianco e nero, luce-buio-luce-buio-luce-buio-per poi perdersi tutti nel sonno dell’innocenza ripetendo all’infinito “etica peletica, etica peletica...”. Notazione a latere: Averne di padri così!

 

 

Fragile di Emiliano Leone e Max Nardari, artista Max Nardari

Fragile LocandinaUn agghiacciante, crudo, realistico film di guerra. Realizzato con grande maestria e con largo uso di mezzi ed effetti speciali. Versione aggiornata de “La guerra dei mondi”, dove l’alieno venuto dallo spazio è il misterioso virus portato dal pipistrello nero che non è il Batman salvatore di Gotham City, ma il demone che infetta. Anche questa guerra, come quasi ogni guerra, vuole i buoni e i cattivi. I cattivi, il cattivo nel nostro caso, è il mostro che cresce, occupa lo schermo, protende i suoi tentacoli come tanti funghi velenosi sulla superficie sferica, e attacca i nostri polmoni lasciando una scia di devastazione e di morte. Compare anche un minaccioso elicottero che immediatamente riporta al clima cupo della cavalcata delle Valchirie in Apocalipse Now.  Il cattivo mette i brividi, i buoni commuovono, novelli John Wayne, con le mascherine e le flebo al posto dei fucili e dei cannoni. I morti, nudi, giacciono sul lettino d’ospedale. La musica non è però violenta. Anzi, quasi dolce con un motivo facile cantato con. È la nostra guerra, il Covid 19. Il pipistrello cade sconfitto, per ora. Ritornerà a volare?

 

Hey di Iaca Studio, artista Vasco Barbieri

Hey LocandinaAttento uomo, hey, stai attento! Un grido ripetuto continuamente, dopo ogni frase, quasi una implorazione, mentre l’uomo cammina, mentre noi camminiamo in un deserto di solitudine. Le immagini che accompagnano il grido sono quelle di una sapiente quanto essenziale animazione, i colori sono tenui, il paesaggio dolce, mentre le parole sono forti, scandite da una bella voce e da una musica che finalmente è musica e non rumore. Il pianoforte si impone per le grandi e profonde sonorità che riesce a esprimere e fa venire alla mente le grandi pagine classiche. È la metafora della vita, quella passeggiata nel deserto, e va diritta al cuore e alla mente. Siamo in viaggio, ci canta Vasco Barbieri, con una voce garbata ma decisa, fermiamoci a riflettere, prima di riprendere il viaggio dalla destinazione ignota.

 

Libertà di Gianni Cannizzo, artista Peppe Lana

Libertà locandinaSi può dire che è un grande, corto capolavoro? Certamente un prodotto raro che non può non imporsi nella memoria di chi ha la fortuna di vederlo. Un raffinatissimo, intelligente, coinvolgente squarcio di genio col quale è quasi impossibile non usare i superlativi. È un gioco di specchi-inevitabile usare il pur abusato attributo “pirandelliano” dato che gli autori sono giovanissimi siciliani- che frastorna per il repentino e continuo cambio di linguaggio. È teatro dei burattini, ma i burattini hanno le sembianze dei burattinai, personaggi stralunati che agiscono in un teatro fatto di carta dai burattini-burattinai, Pinocchi che diventano umani. Peppe Lana, non certo una scoperta dell’ultima ora, conferma la sua maturità artistica con una canzone orecchiabile che potrebbe, e certamente potrà, vivere di vita propria.