SorrisoDiverso

Stella inattivaStella inattivaStella inattivaStella inattivaStella inattiva

Scritto e diretto da Martina Bonfiglio, sulla base di un’idea di Giulia Tovazzi, L’ultima Spiaggia allude col suo titolo al modo di dire, ma non solo. L’ultima spiaggia uno dei protagonisti in particolare la porta addosso, come pensiero fisso, come luogo d’addio, con tutto il peso dell’ultima occasione e dell’ultimo stratagemma per coglierla. La luce fredda delle prime ore del mattino investe gli sfondi su cui si muovono i personaggi, rovesciando su di essi un’atmosfera azzurra e indefinita, come indefiniti sono i sentimenti sepolti sotto gesti e conversazioni familiari. La regia della ventiquattrenne Martina Bonfiglio, già nota al Festival TSN per il suo Light, anche l’anno scorso presente tra i corti finalisti per il premio Sorriso Rai Cinema Channel, è dotata di uno sguardo che rivela maturità e senso della misura. Una regia che senza espedienti acrobatici, incalza con lo sguardo, non induce una chiave di lettura, non porta lo spettatore a spasso nel suo mondo, ma spalanca una finestra a beneficio del pubblico.

Pietro, un ragazzo di diciannove anni, telefona a Filippo, il suo amico. Ha perso le chiavi della macchina, gli spiega, ha bisogno di una mano a ritrovarle. Filippo non esita a venire in suo soccorso: dopotutto sono amici stretti da molto tempo. La ricerca delle chiavi, condotta risalendo ai luoghi in cui i due sono stati insieme la sera prima è un’occasione di confronto, per quanto le interazioni siano, talvolta, rotte dalla silenziosa tensione di Pietro. Sebbene cerchi di non darlo a vedere, il ragazzo non è pronto a vedere l’amico partire, come Filippo programma di fare per ragioni di studio. La loro amicizia è, per questa ragione, a un punto di svolta in cui le strade potrebbero dividersi e le occasioni, per Pietro, di venire a capo della natura della sua affezione verso Filippo potrebbero svanire per sempre alla sua partenza.

Con la loro recitazione convincente che riesce a esprimere ma anche a tacere pensieri e sentimenti complicati, Filippo Benedetti e Pietro Michelini animano alla perfezione le atmosfere del cortometraggio. Dall’inizio alla fine rimangono allineati con il tono della sceneggiatura, con gli scenari affascinanti inquadrati dall’occhio della fotografia curata da Matteo Bruseghini e con lo sguardo capace della regia di Martina Bonfiglio.

Il corto si chiude, ma su un gesto tagliato, la scena, quindi, viene troncata e intervengono i titoli di coda. Tuttavia, la scelta di terminare il cortometraggio con un’interruzione al posto di una conclusione è prolifica, perché in conseguenza di questo qualcosa rimane ancorato allo spettatore dopo che le immagini gli vengono sottratte. Un seguito solo immaginato per il percorso del protagonista, che si prospetta ancora lungo, e una riflessione sul significato dell’episodio e sui sentimenti che rivela.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Stella inattivaStella inattivaStella inattivaStella inattivaStella inattiva

Scritto e diretto da Igor Maltagliati, Locked nasce da un’idea di Alina Person, che nel corto presta il suo volto a uno dei due personaggi protagonisti della storia. Il cortometraggio denuncia un fenomeno nato per effetto del lockdown e mette in evidenza uno degli aspetti assunti dalla pandemia di Coronavirus: l’aumento dei casi di femminicidio e violenza domestica durante la quarantena. Con uno sguardo registico che indugia fin dalle prime scene sugli interni di una casa e sui dettagli rivelatori del vivere quotidiano dei suoi abitanti, l’autore riesce a comunicarne la trasformazione da un luogo sicuro a una prigione nella quale va in scena l’incubo della protagonista.

Una giovane coppia si ritrova a convivere durante il periodo della quarantena. Le giornate ormai sono costellate di momenti di tensione, soprattutto per Matteo che non fa più nulla per mediare le sue reazioni nervose e via via sempre più aggressive. Per quanto la sua compagna si sforzi di assecondarlo e di placare la sua violenza, questa esplode per futili ragioni, al punto che Matteo è in procinto di compiere un gesto irreparabile. Fortunatamente si sveglia di soprassalto e realizza che si è trattato solamente di un incubo – la quarantena c’è ancora, ma tutto il resto per fortuna non è mai accaduto. Quel sogno sembra indurlo a rimettersi in riga e a impegnarsi per vivere serenamente la convivenza. Emerge, in questo modo, il volto umano di Matteo, benché in alcuni frangenti il suo lato violento minacci quasi di fare di nuovo la sua comparsa. Il finale inatteso lascia allo spettare un messaggio forte che lo raggiunge con una durezza inclemente e gli ricorda che non si può concedere nessun tipo di giustificazione di fronte alla prevaricazione e alla violenza.

I due attori protagonisti, Alina Person e Simone Gallo, si esibiscono in una performance recitativa non semplice, ma nella quale si calano con passione e impegno, mettendo in scena le dinamiche disfunzionali della coppia. Nelle ultime scene, è di nuovo la casa a raccontare – sotto le note di Casta Diva, di Vincenzo Bellini – il tipo di vita che è stata condotta al suo interno e a svelare ogni segreto dei suoi abitanti.

La realtà domestica passa da essere una parte della vita dei personaggi a racchiuderla, in un capovolgimento di prospettive che tuttavia non mantiene nessuna proporzione tra contenitore e contenuto. Gli equilibri, quindi, vengono meno tutt’a un tratto e uno spazio molto piccolo si ritrova a essere il mondo intero, il luogo dove si esprime il lato migliore e peggiore degli individui.

 

 

 

 

 

 

 

 

Stella inattivaStella inattivaStella inattivaStella inattivaStella inattiva

Diretto da Antonio Miorin e scritto dal regista insieme a Fabrizio Nardi, L’Inversione dei Poli è il risultato della cooperazione di una squadra che è stata in grado di restare fedele in ogni aspetto – dal suono, alle musiche, alla fotografia, ai costumi – all’intensità e alle implicazioni delle atmosfere suggerite dal racconto. Le immagini rincorrono frequentemente l’allusione a una simmetria che invece di fondere i due lati della figura, evoca il confine che le separa. Dalla facciata dell’edificio con la fontana e la scultura del cervo, al letto matrimoniale, alle due ante di una porta, il tema del doppio che si tocca ma al tempo stesso si oppone, si replica in un interminabile, affascinante gioco di specchi.

Andrea e Serena sono insieme a una festa, ma in realtà si trovano distanti l’uno dall’altra. Questo, ironicamente, sembra valere anche per il loro rapporto, laddove la complicità che li aveva caratterizzati i primi tempi pare essersi ormai consumata. Andrea, dopo essersi accidentalmente imbattuto in Ettore, uno degli invitati alla festa, cerca Serena e la trova che danza, da sola. Prima che possa raggiungerla, Lilly lo anticipa e va da lei. È una figura affusolata e magnetica, quella della donna, che col suo passaggio dilania la scena e la coscienza di Andrea. Tutto inizia proprio a partire da quel momento. Mentre lui non riesce a ripristinare il suo legame con Serena, Lilly appare sempre più spesso – adocchia Andrea da diverse angolazioni, sembra quasi disprezzarne l’inettitudine. Gli eventi sono sul punto di precipitare e Andrea è chiamato a prendersi quello che, in cuor suo, desidera davvero e l’unico modo per farlo è occupare lo spazio del lato opposto di questa simmetria divisiva che costantemente gli resiste.

L’opposizione tra i generi, che essi siano rappresentati da persone reali o da incarnazioni degli archetipi, è centrale nel cortometraggio di Antonio Miorin e viene indagata dalla scrittura congiunta del regista e di Fabrizio Nardi, con maestria. Con la sua fotografia ricca di contrasti tra ombre ed elementi sottolineati da colori intensi, con un sonoro che intercetta l’intermittenza dei respiri e con le musiche che assumono la frequenza delle vibrazioni, il cortometraggio è pervaso di un senso di profondità, ma soprattutto d’intimità.

Marco Cacciapuoti nei panni di Andrea, Diane Patierno in quelli di Serena, Alessandro Palladino e Natalia Kalinowska, rispettivamente Ettore e Lilly, danzano con grazia sul filo dell’ambiguità del corto, corroborandone l’intento di bandire la lettura logica e lineare delle vicende, per entrare nel mondo dei sensi. Nel corto di Antonio Miorin pulsioni afferenti a un mondo sotterraneo, riscoperto gradualmente ma con urgenza, premono dall’interno contro la pelle ed esigono la trasformazione.