SorrisoDiverso

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Con Andrea Baglio alla regia ed Elena Vettori a firmare soggetto e sceneggiatura, L’Immagine allo Specchio è un’esplorazione che penetra con occhio indiscreto nella quotidianità della protagonista. Lo sguardo furtivo con il quale la regia si accosta alla sua storia rovista nel suo mondo, nelle frustrazioni e le umiliazioni di tutti i giorni, mentre la narrazione, a tentoni, cerca la vena giusta da colpire per spaccare il guscio che separa il personaggio principale da un autentico contatto con la vita. L’obiettivo viene raggiunto attraverso scene che innestano all’interno di contesti realistici dei tratti surreali, allusioni di grande effetto alla necessità di liberazione della protagonista.

Aida lavora come commessa in un supermercato, intrappolata in un meccanismo ripetitivo che ogni giorno, dal mattino la traina fino alla fine del suo turno di lavoro, nelle ore serali. Aida non ha altra scelta se non quella di abbandonarsi per necessità a questo motore che attraversa i giorni e il tempo al posto suo. Lo spettatore la scorge mentre arranca tra gli imprevisti quotidiani – una sveglia che suona tardi, un autobus perso, lo scontento dei colleghi, i rimproveri del direttore – fino al supermercato in cui lavora. Un ambiente in cui sonoro e fotografia cooperano per suggerire un’atmosfera artefatta che appiattisce lo scorrere del tempo e lo scandisce con il suono dello scanner del codice a barre. Aida evita gli specchi, ma quando le succede di inciampare nella sua immagine non può fare a meno di studiarla per ritrovare la persona, al di là della commessa costantemente sul confine del suo senso di inadeguatezza.

Il personaggio, che Elena Vettori scrive e interpreta con grande capacità e coinvolgimento, sfugge dallo specchio ma anche dalla macchina da presa, che è costretta a cogliere frammenti della sua vita e indizi dei sentimenti che prova, osservandola da angolazioni nascoste, o da lontano. Andrea Baglio – anche attore di uno dei personaggi del corto – architetta con metodo una regia che riesce a rappresentare sapientemente il senso di rifiuto di Aida per la sua immagine e il suo ruolo.

Un momento culminante, di forte impatto è senza dubbio rappresentato dalla scena in cui la musica ascoltata con gli auricolari dalla protagonista, metafora di un caos interiore inudibile dall’esterno, esplode all’improvviso fuori di lei. Una luce che parrebbe quasi irradiata dallo stesso personaggio spazza via il grigiore dal suo mondo, in una magnifica sequenza, espressione di un’interiorità finalmente lasciata priva di vincoli.

 

 

 

 

 

 

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ITA - Sergio Milán cura regia, sceneggiatura e montaggio per il cortometraggio Saber Perder, un’opera in cui un interessante sistema di sovrapposizioni mette in relazione due modi diversi di “perdere” e una comune reazione. La ramificazione del significato e delle scene, intervallate nel cortometraggio per mezzo di un montaggio ragionato, delinea una struttura narrativa a incastro che non fa contrastare, piuttosto accosta dei momenti dalle diverse implicazioni. Il cortometraggio non contiene un grande numero di battute, affida i suoi messaggi ai volti degli attori e soprattutto ai suoni: un respiro affannato, infatti, apre il cortometraggio fin dai titoli di testa, anticipando le immagini. Con il suo emozionante lavoro Sergio Milán trova il sistema di legare le tappe di un percorso che suggella il legame tra nonno e nipote, accompagnando lo spettatore fino al loro ultimo momento insieme.

La scena si apre su un ospedale e l’occhio della macchina da presa trascina il pubblico all’interno di una stanza dove un uomo anziano in fin di vita respira con affanno, incosciente e collegato ai macchinari. Attorno a sé ha la sua famiglia e in particolare sua nipote, che resta al fianco del nonno nella parentesi di tempo in cui gli altri escono dalla stanza. A quel punto, la donna dà inizio a una sorta di gioco: segue il ritmo del respiro del nonno con il suo, trattiene il fiato quando inspira ed espira soltanto quando lo fa anche lui. Parallelamente si alternano scene del passato, a partire dall’infanzia della protagonista, fino al presente, che mostrano nonno e nipote intenti a giocare, perdendo e vincendo a turno, ma sempre, in ogni occasione, alimentando di gioco in gioco la loro complicità.

La sentita interpretazione di Beatriz Melgares nei panni della protagonista non può fare a meno di coinvolgere il pubblico e commuoverlo, specialmente quando sul suo volto appare un bellissimo sorriso tra le lacrime, che parla di una gioia grata per il tempo insieme, diviso tra vittorie e sconfitte.

Vincitore del premio Miglior Cortometraggio Straniero 2021, Saber Perder riesce a trainare nel petto della protagonista e, per mezzo di lei, dello spettatore, insieme al respiro, ricordi molto amati che scaldano, ma ardono anche, dolorosamente. Finché non si accetta di lasciarli andare, non per privarsene, ma come conseguenza di un movimento naturale e necessario. Il bello, ma anche il prezzo dell’essersi messi in gioco è dover perdere, prima o poi. Ma come il nonno ha insegnato a sua nipote, perdere va bene.

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ENG - Sergio Milán directs, writes, and edits Saber Perder, a short film in which an interesting system of superimpositions expresses two different ways of “losing” and, at the same time, only one reaction. The ramification of meanings and scenes, alternated in the short film through a reasoned editing, outlines a narrative structure that does not make in contrast, rather combines, different moments. The short film does not contain many lines, it entrusts its messages to the actors' facial expressions, and above all to the sounds: a labored breathing, in fact, opens the short film from the opening credits, anticipating the images. With his touching work Sergio Milán finds the way to describe the bond between grandfather and granddaughter, accompanying the public to their last moment together.

The scene opens on a hospital and the eye of the camera drags the audience into a room where there is an old man, breathless, unconscious, and connected to medical machinery. Around him there is his family and in particular his granddaughter, who stays by the grandfather's side in the interlude of time in which the others leave the room. At that point, the woman starts a new game: she follows the rhythm of the grandfather's breathing - she holds her breath when he inhales and exhales only when he does too. At the same time, scenes from the past alternate, starting from the woman’s childhood, up to the present, in which grandfather and granddaughter are intent on playing, losing, and winning, increasing game by game their complicity.

The heartfelt interpretation of Beatriz Melgares in the role of the protagonist captivates the audience and moves it, especially when a beautiful smile between tears appears on her face, which communicates a grateful joy for the time spent with her grandfather, between victories and defeats.

Winner of the Best Foreign Short Film 2021 award, Saber Perder manages to bring in the protagonist's chest and, through her, in the viewer's one too, in addition to the breath, beloved memories that warm the heart, but which also burn painfully, until she agrees to let them go, not to forget them, but for effect of a natural and necessary reflex. The beauty, but also the price of putting yourself in the game is having to lose, sooner or later. But as the grandfather taught his granddaughter, learning to lose is the most important lesson.

 

 

 

 

 

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Annarita Mangialardo è regista, sceneggiatrice e soggettista de L’Altra Metà dell’Amore, un cortometraggio su cui riversa una scrittura sensibile, al contempo dotata di un piglio risoluto. Con questi strumenti l’autrice riesce a rappresentare l’amore neonato al centro del cortometraggio e a difendere il suo diritto di esistere; lo fa con una narrazione da un lato in grado di accostarsi con gentilezza alla fragilità e dall’altro capace di assumere un tono reciso che nelle ultime scene del cortometraggio riscuote le coscienze.

Il personaggio principale è Sole, una ragazza fresca dell’esperienza dell’Erasmus, adesso di ritorno da Barcellona, dove è rimasta per sei mesi. La sua migliore amica, Giorgia, viene a prenderla dall’aeroporto ed è proprio a lei che Sole confessa la novità importante che ha portato con sé dal viaggio: ha conosciuto qualcuno. Si chiama Alex, vive in America ma è di origini italiane. A causa del fuso orario, Alex e Sole hanno concordato degli orari compatibili con i rispettivi ritmi in cui potersi sentire. Il rapporto deve quindi fare i conti con le difficoltà comportate dalla distanza, ma la coppia sembra solida e Sole è motivata a portare avanti la sua relazione. Durante la cena in cui Giorgia e Vito – il secondo degli amici più stretti di Sole – festeggiano il suo ritorno, emergono nuovi dettagli sull’identità della fiamma della protagonista.

Flavia Triggiani, che recita nei panni di Sole, con la sua mimica trasparente e con genuino trasporto, riesce a mostrare il cambiamento del suo personaggio dalla gioia iniziale, alla delusione, per arrivare alla costernazione. Altrettanto abili nel rappresentare il non semplice volto dell’incomprensione e dell’indolenza, i giovani Marica Girardi e Gianni Saracino offrono a loro volta una notevole prova interpretativa.

Radunando, nei momenti finali del corto, alcune delle scene precedentemente apparse e intervallandole agli stralci affascinanti della storia d’amore della protagonista, l’autrice riesce nell’intento di demistificare gli atti d’intolleranza che si celano dietro piccole e grandi storture nei comportamenti e nei discorsi. La tenerezza delle scene in cui Sole parla con Alex mostra con assoluta chiarezza l’autenticità del suo amore e permette allo spettatore di immedesimarsi nel suo desiderio di proteggere quel sentimento. L’empatia assente tra i personaggi che animano il corto viene quindi invocata nel pubblico, perché sia esso, alla fine, a colmare il divario dell’incomprensione attraverso uno sguardo capace di osservare, prendere consapevolezza e accettare.