SorrisoDiverso

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La Parola Kala dal sanscrito è indicativa del tempo e può avere vari significati, come spazio temporale, un tempo definito, il fato. Nel periodo preindoeuropeo invece, Kala assumeva il significato di “roccia” e più precisamente “riparo sotto la roccia”. Il linguaggio onirico e allusivo del cortometraggio si inserisce perfettamente in tutti questi significati e avvince fin dalla prime scene dove fra ombre e luci emerge un personaggio perseguitato da flashback e ricordi che faticano ad avere un senso compiuto. Attimi di luce e una psiche imprigionata fra le mura di un antico palazzo. L'uomo con una parte di sé è immobile ma con l'altra parte corre incessantemente in spazi boschivi. Le riprese evidenziano alternativamente il volto immobile e sofferente e le gambe in corsa del protagonista. Fra i flashback una promessa d'amore e la morte di un amico che solo grazie alla visione della donna devota amata avrà una spiegazione e permetterà all'uomo di recuperare i brandelli di ricordi. Un disperato viaggio nella propria interiorità dove la fotografia e i suoni accompagnano lo spettatore alla scoperta della verità.

 

 

 

 

 

Valutazione attuale: 5 / 5

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Un fantastico Leo Gullotta veste i panni di Aldo, un anziano signore che vive in una RSA. L'uomo si presenta allo spettatore davanti ad uno specchio mentre esegue i rituali quotidiani del risveglio. É solo con i suoi ricordi, i suoi rimpianti, la vita che gli resta da vivere. Lo sguardo potete della regia si posa sui particolari del volto, sui gesti, sugli occhi. Poco dopo lo vediamo all'ospedale circondato dall'affetto dei suoi cari, Aldo non dice una parola anzi è capace di trasformare la parola stessa in immagine e conferendo al cortometraggio un’autentica poeticità esaltata dal bianco e nero. Una musica fra i ricordi e gli oggetti, regalati dai figli e dai nipoti all'anziano signore, che assumono un significato speciale e divengono il simbolo di un limpido sentimento.

Con leggerezza spirituale, potenza e levità il regista realizza una poesia tenera e malinconica nella quale la recitazione del protagonista attraverso i gesti, le espressioni e i primi piani riesce a dire l'indicibile. Come ha sostenuto lo stesso regista, il corto è stato ispirato da due importanti citazioni, una di Aristotele che afferma: “Chi è felice nella solitudine o è una testa selvaggia o è Dio”. L'altra da Gabriel Garcia Marquez dove lo scrittore latino-americano dice: “La morte non arriva con la vecchiaia ma con la solitudine”. Un cortometraggio che sussurra all'anima con tragica dolcezza.

 

 

 

 

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Giocato tutto sulla scoperta, il mistero e l'ambiguità, il cortometraggio di Maurizio Ravallese, racconta le storie d'amore atipiche di due uomini: Amid interpretato da Danilo Arena e Massimo interpretato da Christian Ansante. Fra loro una valigia, unico elemento femminile presente nel film, con una forte valenza simbolica, in quanto contenitore di verità che saranno svelate soltanto nel finale.

Con drammatica dolcezza il regista unisce elaborazioni di lutto, fuggevolezza della vita, condanna e perdono fra fantasmi di un passato prossimo e sogni di un futuro appeso ad un vestito. Un emigrato, Amid, confessa di doversi sposare ma non ha il vestito, un altro uomo è in procinto di sposarsi ma è solo. Il caso, le circostanze della vita, gli incastri banali di situazioni portano i due uomini, entrambi emarginati per motivi diversi, ad incontrarsi, scontrarsi e riuscire a portare a termine entrambi il loro obiettivo.

Senza retorica il regista porta il pubblico a riflettere su tematiche pregnanti con un impianto narrativo efficace e una fotografia dove i cromatismi rafforzano ed evidenziano il disagio interiore dei protagonisti.