SorrisoDiverso

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La bellezza salverà il mondo

 

É di questi giorni la notizia che la ricerca/sperimentazione realizzata da Paola Dei, psicoterapeuta e critico cinematografico e teatrale, con l'Associazione Valdelsa donna in collaborazione con la ASL Toscana Sud Est Ospedale Campostaggia Reparto Oncologia di cui è direttore Angelo Martignetti, oncologo di fama internazionale, già accolta dalla Comunità scientifica nel giugno 2020 e pubblicata sulla Rivista Internazionale Phenomena Journal, è stata pubblicata anche in un volume tedesco curato da Accademici delle Università di Friburgo, Vienna, Berlino. Che l'arte avesse un potere magico e catartico, è noto fin dagli albori della civiltà, ma ciò che era stato compreso a livello intuitivo viene oggi confermato a livello scientifico.

La ricerca ha infatti evidenziato come il lavoro attraverso il cinema, compendio di tutte le arti, sia in grado di diminuire lo stress del 50/60%. Come ben sappiamo livelli alti di cortisolo non solo incidono sullo stato dell'umore favorendo la depressione, ma contribuiscono all'instaurarsi anche di malattie fisiche come il sovrappeso, l'aumento della pressione arteriosa, il colesterolo.

La ricerca portata avanti nell'arco di un anno ha coinvolto malati oncologici e loro familiari che hanno avuto la possibilità di esperire le potenzialità del cinema attraverso un viaggio che dall'esterno ha permesso di raggiungere l'interno. Il compito dei registi è stato quello di rendere l'esperienza meno minacciosa.

É il caso di dire che chi respira arte e si nutre di cinema fa un gran bene anche alla propria salute e che l'arte in tutte le sue declinazioni, come aveva compreso il grande scrittore russo Dostoewskij, che restava ore ad osservare la Madonna Sistina di Raffaello e faceva coincidere il bene con il bello, ha il potere di ricomporre in una unità armonica il disordine fondamentale della realtà.

Il Metodo Psycofilm® www.psycofilm.it, tratteggiato in molti testi e presentato nel libro: Nostoi Ritorni Cinema, Comunicazione Neuroni specchio, al quale hanno preso parte critici, accademici, intellettuali da tutto il mondo, elaborato da Paola Dei presidente del Centro Studi di Psicologia dell'Arte e Psicoterapie Espressive, si avvale dei principi della Psicologia dell'Arte di Rudolf Arnheim, psicologo della Gestalt, percettologo, grande teorico del cinema e collaboratore del Centro Sperimentale di Cinematografia, della scoperta dei neuroni specchio di Giacomo Rizzolatti e della sua equipe e della teoria di personalità di Claudio Naranjo.

Da non dimenticare che Rudolf Arnehim nel 1964 fu membro nella giuria della Mostra d'Arte Cinematografica di Venezia e ricordarlo offre l'occasione anche per ricordare il grande scrittore Mario Soldati, che fu Presidente di Giuria e Michelangelo Antonioni che in quell'anno vinse con il film Deserto Rosso dove recitava una meravigliosa Monica Vitti con la fotografia di Carlo di Palma.

Il Maestro Ezio Bosso sosteneva che in tempi di crisi occorre accendere la musica a tutto volume e spalancare le finestre, la Chigiana, storica Accademia musicale senese, in tempo di lockdown ha diffuso Concerti con artisti indimenticabili e i cineasti internazionali non ci hanno fatto mancare opere su cui riflettere. E vale anche la pena di ricordare che il cinema in numerosi Festival si è fatto e si fa portatore di riflessioni a tutto tondo e che il film Ocho Pasos di Selene Colombo in Argentina riuscì anni fa a far avere una legge che rende obbligatorio il Check List for Autism sin dai primi mesi di vita.

 

 

 

 

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Sara e Michele sono seduti sul letto della loro camera. Lui le dà le spalle, lei tace e mantiene basso lo sguardo, attendendo in posa rigida che qualcuno dia inizio a una conversazione, mentre i pensieri che cova ormai da diverso tempo la tormentano. Il silenzio copre e sottolinea la distanza tra i due, reale, perché non si toccano ed emotiva, perché nessuno dei due riesce ad aprire bocca. Michele si alza per andare in bagno e la lascia sola.

A partire da questa scena, che attraverso ogni suo elemento parla di una frattura nella coppia, lo spettatore raccoglie sempre più informazioni sulla vita quotidiana di Michele e Sara. Lui non riesce a spiegare a Sara né tantomeno a sé stesso il calo della libido da cui è affatto e la caduta della barba, che viene via con l’acqua quando si sciacqua il viso. Lei, d’altra parte, non riesce a comprendere la natura di questa distanza, la perdita dell’intimità sessuale e della comunicazione con il suo compagno e comincia, perciò, a temere che siano tutti campanelli d’allarme. Forse la loro storia è al tramonto.

L’indomani, finalmente, Sara prova a parlare apertamente delle sue paure, Michele nega che quanto gli accade sia correlato a un cambio di sentimenti. Lei, a quel punto, insiste perché lui faccia una visita per venire a capo del suo problema apparentemente inspiegabile.

Da quel momento in poi Michele scava per comprendere da cosa sia affetto; confessa alla dottoressa di non provare nessun impulso sessuale e inizia a fare alcune analisi su consiglio del medico.

La verità emerge alla fine e si rivela quella più inaspettata. A intaccare la quotidianità della coppia protagonista del cortometraggio, infatti, è un elemento altrettanto inserito nella vita di tutti i giorni, così comune da essere invisibile e, d’un tratto, abbastanza importante da mettere in pericolo la salute non soltanto di Michele, ma di moltissime altre persone nel mondo.

I due protagonisti riescono a portare nella dimensione del quotidiano tutte le difficili implicazioni che il dramma al centro del corto ha sulla sfera intima e domestica dell’individuo – l’iniziale impossibilità di comunicare, lo smarrimento di fronte all’incomprensibile ribellione del proprio stesso corpo, le reazioni di una coppia che si confronta con la malattia. Il contrasto intenso di luci e ombre che di quando in quando sottolinea il senso di alienità e di isolamento di Michele evolve nella luce calda della scena finale – una gentile tregua dal buio.

 

 

 

 

 

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Nina è il racconto della vendetta di una donna contro l’uomo che, dieci anni prima, ha rovinato la sua vita incastrando il padre, Roberto Lombardo, uno dei due fondatori dello Stabilimento di Sviluppo e Stampa di Pellicola Loma.

L’intera narrazione si compone di tessere relative ad un prima e un adesso che, alternandosi ordinatamente, ci consentono di dare senso all’oggi attraverso il rapido intrecciarsi e ricostruirsi delle vicende del passato.

Il cortometraggio si apre in una zona industrializzata nell’Italia degli anni ’30, all’interno di un bordello in cui vediamo la protagonista apparire sola, spaesata ma nell’atto di mettere in scena il piano che la porterà, non solo al conseguimento del proprio obbiettivo, ma soprattutto al raggiungimento della propria evoluzione personale e psicologica come persona e come donna. Se la scena ha inizio in un luogo non storico e non identitario, seguendo l’evoluzione del personaggio, il tempo della storia si fa subito estremamente connotativo: il buio della notte, dell’oscurantismo della dittatura fascista, della menzogna e della vendetta. L’oscurità, sottolineata dall’atmosfera noir del corto, suggerisce l’impossibilità di vedere e comprendere con razionalità e dunque la possibilità dell’errore. Al contrario, la bellezza e luminosità della protagonista evoca l’immagine di un corpo e di un animo governati dalla luce della razionalità.

Si può senz’altro affermare, per concludere, che il cortometraggio, per niente banale, riesce nell’intento di far riflettere; sospende e decostruisce la logica e il senso comune che vogliono la donna fragile e insicura; lasciando altresì lo spettatore a interrogarsi sul senso della giustizia e sul limite entro il quale è giusto spingersi per ottenerla.

 

 

 

 

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