SorrisoDiverso

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Mia è una donna accecata dall’amore al punto da non vedere il pericolo che corre. Una donna che in poco tempo diventa segregata e percossa, in cui aleggia la consapevolezza latente della necessità di svegliarsi prima che sia troppo tardi. Mario Spinocchio, con il suo corto, indaga su un tema attuale e mai risolto, proponendo diverse letture e lasciando lo spettatore a confrontarsi con le riflessioni consequenziali. Risulta chiaro però come l’uccisione di una donna in quanto donna rappresenti il risultato tragico e devastante di una serie di atteggiamenti psicologici, culturali e sociali e difficilmente possa essere trattato come un fatto isolato o un gesto improvviso, un raptus. Dal punto di vista sociale, una delle principali cause di violenza deriva dal perdurare di un modello socioculturale patriarcale che vuole la donna al servizio dell’uomo o addirittura una proprietà a tutti gli effetti. In un contesto di questo tipo, l’espressione dell’autonomia di pensiero e di azione della del genere femminile può venire avvertita come minaccia alla virilità e al diritto di potere del sesso opposto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Un dramma di 15 minuti sulla società moderna, quella che ci viene raccontata dalle cronache locali e nazionali. Atti di bullismo e violenza gratuita in cui l’umanità cade nella trappola dell’oscurità e dell’insensibilità.

La trama racconta di un uomo che perde tutto: il lavoro, la dignità e la famiglia. Si nasconde così ai margini di una società che bada solo alle apparenze e della quale alla fine diventa vittima.

Il corto si fa spaccato della realtà odierna, delineandone la crudezza, oltre che il coraggio necessario per combatterla e raccontarla. La bravura degli autori si evidenzia nel gioco delle inquadrature e nell’introduzione di immagini che delineano con chiarezza il contesto sociale in cui si snoda il dramma.

Il lavoro del regista è stato quello di rappresentare una serie di tematiche connesse ed estremamente delicate: il vagabondaggio causato da perdita di lavoro, la mancanza di un supporto nel momento della difficoltà, la fragilità di chi sente su di sé il peso del fallimento e la violenza immotivata che sembra ormai permeare il quotidiano con inquietante costanza.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Un corto, questo, che racconta la violenza sulle donne senza alibi o censure. Molto spesso, film, libri e programmi tv trattano l’argomento tramite racconti, spesso e volentieri accompagnati da pettegolezzi e considerazioni astratte. In questo modo si porta a compimento più un tentativo di lavaggio delle coscienze che un’ opera di sensibilizzazione sul tema.

Non è ciò che accade con “Il giorno più bello”, in cui non vi è alcun sottointeso e ciò che viene solitamente lasciato all’immaginazione dello spettatore, qui viene mostrato: la forza bruta, la violenza carnale e l’umiliazione, completata da sputi e insulti. Chi compie il gesto pretende che la donna sia ben presente, ma sottomessa, perché trae piacere dall’avere il sopravvento, dal potere che impone sulla vittima. Più si guarda il corto e più si è colti da rabbia e sconforto, perché come accade spesso non c’è giustizia per la protagonista. Da quella violenza, però, nasce qualcosa di inaspettato.

“Il giorno più bello” rappresenta proprio questa nascita che porta a una ri-nascita personale, forse perché l’intenzione del regista è comunicare che una donna stuprata non è e non deve essere sempre considerata solo una vittima, ma un essere umano che ha bisogno di ricominciare e tornare a sorridere.