SorrisoDiverso

Valutazione attuale: 5 / 5

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“Questa è la mia bici” si apre sullo scenario sgombro di un parco dove due bambini si scambiano scherzi e prese in giro dopo la scuola, in un familiare frangente di spensieratezza. Uno dei due pedala in circolo con la sua bicicletta, il secondo cerca di riparare la propria, studiando e provando a manipolare quel meccanismo all’apparenza così semplice e che tuttavia si rifiuta di funzionare a dovere.

Dopo un paio di scambi di battute, uno dei ragazzini comincia a incalzare l’amico ancora impegnato a riparare la bici e sulla scia delle reciproche provocazioni i due decidono di sfidarsi in una gara di velocità, malgrado la bicicletta danneggiata.

Nel corso della gara attraverso una sequenza scandita dall’affanno dei due protagonisti impegnati nello sforzo, veniamo a conoscenza della verità: il bambino con la bici rotta è affetto da diabete. La serietà della sua condizione irrompe nel clima inizialmente leggero della pellicola, potando lo spettatore alla consapevolezza e ad abbracciare un punto di vista inizialmente inaspettato. Attraverso di esso vediamo la vicinanza generata dalla complicità, tramutarsi in una distanza interminabile entro cui la figura del protagonista finisce con l’essere smarrita.

Tuttavia, se è vero che perdere la presa su un punto di vista di cui si ha scarsa cognizione può essere facile, questo aspetto può ancora essere medicato con l’informazione e la sensibilizzazione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Valutazione attuale: 4 / 5

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“Agnes” è il nome del personaggio protagonista che da solo anima i sei minuti della pellicola. L’isolamento di questo nome nel titolo lapidario del cortometraggio, riflette quello della donna, la sola figura ad abitare la scena altrimenti vuota della sua casa.

La macchina da presa penetra nella solitudine di Agnes con una naturalezza tale, che allo spettatore pare quasi di spiare la silenziosa giornata di una donna assorbita da attività apparentemente ordinarie.

Madre single di Giuseppe, mentre si muove in casa sua, Agnes viene costantemente inseguita, in qualche modo, dal figlio assente, ma che le ricorda di sé attraverso i disegni sparsi per la casa e le fotografie, come a riprodurre nello spettatore la consapevolezza costante di quell’esistenza a cui Agnes deve dar conto.

Nel silenzio della scena germoglia l’empatia dello spettatore verso lo sconforto di Agnes che gradualmente assume i connotati della disperazione: le difficoltà a cui deve far fronte appaiono insostenibili.

Il tema del sacrificio emerge tutt’a un tratto, in una declinazione amara che non lascia spazio agli eroi, ma all’essere umano e al suo dolore: il sacrificio non è tale perché nobilita chi lo compie, ma perché lo addolora.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Valutazione attuale: 4 / 5

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In “Alleluia” la storia del giovanissimo protagonista, il chierichetto Mino, vede l’evoluzione e la risoluzione della sua parabola nell’arco di sette minuti di una pellicola quasi interamente muta e in bianco e nero. Ciò malgrado, l’eloquenza delle immagini riesce a colmare l’assenza di battute, colorare la scena, sfruttare il breve minutaggio con una struttura perfettamente conchiusa.

Mino è un chierichetto ed è in ritardo per la messa. Mentre si affretta a prepararsi, viene sorpreso da una sua coetanea incontrata per la prima volta. Quell’arrivo improvviso e la fretta, però, gli giocano un brutto scherzo: Mino urta un crocefisso che cade e si danneggia.

Offrendosi quella reciproca complicità che fa evolvere il mutismo della pellicola in un silenzio circospetto dall’effetto comico, i due bambini cercano di rimediare all’incidente, ma il finale li prenderà in contropiede. Solo loro sanno come sono andate veramente le cose, ma il segreto resta relegato all’avventura che i due hanno condiviso e attorno alla quale gli adulti gravitano, senza potervi accedere.

Il corto evoca il mondo dell’infanzia da una riserva nostalgica a cui qualsiasi spettatore potrebbe attingere e fa sì che esso emerga con l’aspetto di una cartolina.