SorrisoDiverso

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La protagonista di questa coinvolgente pellicola è Isabel, una giovane ragazza affetta da una rara malattia che le provoca la caduta improvvisa dei denti.

Come spesso accade, Isabel viene presa in giro dai suoi compagni di classe. Così la sua malattia diventa la sua ossessione tanto da farle avere incubi notturni e toglierle il sorriso.

In uno di questi sogni, la ragazza si trova, senza uno dei denti, a leggere di fronte alla classe un saggio su “The Elephant Man” film di David Lynch. Il parallelismo è dunque più che mai chiaro: la storia di Isa, in bilico fra lo stato onirico e la veglia, ci ammonisce per i nostri pregiudizi e ci spinge a cercare sempre di guardare oltre le apparenze. Il regista in questo modo ha voluto sviluppare nello spettatore l’empatia, raccontandoci una storia in cui chiunque può riconoscersi, perché ognuno di noi almeno una volta è stato escluso o messo ai margini a causa della propria diversità.

Per fortuna, c’è anche chi sa amare la diversità e proprio grazie questo amore la vita può tornare a sorriderci.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Valutazione attuale: 4 / 5

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Il cortometraggio è ambientato dentro le quattro pareti di una casa, in un’atmosfera calata nella penombra, turbata soltanto dalla percezione remota dei rumori che provengono dall’esterno. Questo luogo chiuso in cui risuonano esclusivamente le voci dei due protagonisti pare quasi una rappresentazione materiale dell’isolamento dentro cui l’anziano dei due si rifugia da oltre un anno, sempre meno interessato a quello che accade all’esterno.

Incagliato nei ricordi accumulati nel corso della sua vita sino a quel punto, sembra che ormai non abbia più alcuna intenzione di scrivere un nuovo capitolo della sua storia, almeno fino all’arrivo del suo giovanissimo ospite.

È lui a smuovere lo stallo e con la sua insistenza, con la sua fame di futuro, riesce a infondere nell’anziano la forza di riscuotersi.

Il finale che ci riserva questo breve episodio, ritaglio di una vita intera, lega insieme gli elementi della storia con una soluzione inaspettata ma che serba in sé tutte le riflessioni più significative. A permettere di superare la battuta d’arresto, infatti, è proprio il ricordo del passato, lo stesso che in un primo momento pareva essere la fonte dell’immobilità del protagonista. Poi d’un tratto, con un improvviso cambio di rotta, viene trasformato nello stimolo che lo spinge in avanti, verso il futuro.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Valutazione attuale: 3 / 5

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Nello spazio contratto dei suoi otto minuti “Apollo 18” racconta non una, ma due storie.

Il bambino mascherato da astronauta e intento a giocare sulla spiaggia è il narratore della prima: la sua bicicletta trasformata in un razzo da qualche decorazione, si trova ai piedi di una pedana da cui – immagina lui – inizierà un viaggio che copre distanze incalcolabili, tra le stelle.

Nel bel mezzo della sua avventura nello spazio, però, il bambino fa un incontro a cui non è preparato, con quella che, volendo restare coerenti con la sua fantasia, è una creatura aliena.

La seconda storia è proprio la sua, quella del naufrago che raggiunge la stessa spiaggia su cui gioca il bambino, spossato dalla sete e da una traversata estenuante, impolverato e senza una scarpa. Non conoscono la rispettiva lingua, eppure scambiano qualche parola e sebbene abbiano una percezione molto diversa del loro incontro, per un momento sembrano persino arrivare a comprendersi.

Apollo 18 mostra allo spettatore non due storie, ma la natura comune che le lega tutte, che si tratti di un sogno surreale o di un’interminabile odissea: ogni storia, in fondo, è un viaggio e fiorisce sul confine tra due mondi diversi, improvvisamente capaci di connettersi.