SorrisoDiverso

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Giuseppe Bucci firma regia e sceneggiatura per La Voce di Laura, un film corto in cui l’oggetto del titolo è il grande assente della storia. Perché Laura parla dall’altro capo di un telefono, ma non la si sente mai. Laura è l’amore che volta le spalle e non risponde più. L’amore, a sua volta, è una trappola dentro cui la protagonista si dibatte, ma a cui, una volta libera, tragicamente, ritorna. Il cortometraggio è sostenuto da uno struggente monologo e dall’interpretazione di un’unica attrice che riesce a raccontare, attraverso una conversazione al telefono, la sua parte nella storia e, contemporaneamente, ad alludere a quella di Laura – alle sue preoccupazioni, alle sue obiezioni, ai suoi rimproveri.

La protagonista si affretta a rispondere al telefono. Aveva atteso a lungo quella chiamata e ora che finalmente sente la voce di Laura, dall’altro capo, non può fare a meno di provare una disperata felicità e, al contempo, un profondo turbamento: tra loro, dopotutto, è finita. Ha messo da parte le sue cose, come promesso. È stata forte, le garantisce, e continuerà a esserlo. Questa maschera di risolutezza, tuttavia, crolla in fretta di fronte al dolore e alla delusione per la fine di un rapporto durato cinque anni. Laura è sposata, questo la protagonista lo sapeva, e poteva immaginare che un giorno sarebbe arrivato il momento, per lei, di fare una scelta. La scelta, alla fine, è stata quella di costruire una famiglia tradizionale, rinunciando ad andare incontro alle sfide che un futuro accanto a una donna l’avrebbe costretta ad affrontare. La conversazione al telefono prosegue tra agghiaccianti confessioni, recriminazioni, dolorose dichiarazioni d’amore – il riepilogo frenetico e sofferto della storia di una coppia e di un amore che forse non era pronto per finire.

Nel corto di Giuseppe Bucci lo spettatore incontra due protagoniste, una presente e l’altra invisibile, e contemporaneamente due generi diversi d’amanti, chi riesce dire addio e chi non può dimenticare quel che è stato e, peggio ancora, quello che avrebbe potuto essere. È la forza di questa frustrazione a trasparire dall’agile e sensibile scrittura di Giuseppe Bucci e dalla potente interpretazione di Rosaria De Cicco che per la sua performance ha meritato una Menzione Speciale durante la XIV edizione del Festival TSN. Una frustrazione che non trova risposta, ma vive in un’unica voce, la sola a ergersi al di sopra di un silenzio senza cuore.

 

 

 

 

 

 

 

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Film scritto e diretto da Fausto Petronzio, La Vita in una Scatola è una dedica a coloro che hanno perso i propri cari a causa del coronavirus, un atto di partecipazione dell’autore che con una storia racconta quella di molti, sulla scia di una notevole capacità di rappresentare il dolore di un momento storico. Abbracciando con l’occhio della cinepresa i territori che vanno dal comune di Fondi fino alla spiaggia di Sant’Agostino a Gaeta, con il sussidio, tra le altre cose, di riprese effettuate tramite drone, lo sguardo del regista offre una panoramica impressionante del modo in cui la pandemia ha modificato il volto del territorio, le strade e i centri che una volta esibivano un traffico animato di persone e attività. Gli individui sono trasformati in numeri che evocano moltitudini. Ma queste moltitudini sono altrove, non si vedono: le strade sono vuote e nonostante la tragedia coinvolga tutti, si consuma nella solitudine.

Francesca si reca presso i Fiori D’Argento, una struttura per anziani. Lì le viene consegnata una scatola che la donna accetta con dolore, prima di firmare un documento e andarsene via con quello che resta di suo padre, gli ultimi averi resi dalla struttura dopo il suo decesso. Francesca si dirige in spiaggia e lì soppesa uno alla volta quegli oggetti che offrono una sintesi scarna di tutto ciò che suo padre ha rappresentato per lei, dei resti che invece di racchiuderla sembrano disperdere la sua storia. Sul fondo della scatola, Francesca trova una lettera con le ultime parole di suo padre. Uno scritto sentito, denso e commovente che parola per parola esprime ciò che più di ogni altra cosa può riassumere la vita dell’uomo: l’amore che legherà sempre lui e sua figlia.

La Vita in una Scatola è un viaggio che ripercorre una vita come molte, costruita giorno per giorno come si costruisce una casa e di colpo interrotta a causa del virus. Fausto Petronzio, con il suo corto, cerca di afferrare una storia che rischiava di svanire dietro la freddezza di un bilancio espresso in numeri e di essere liquidata dalla banalità della ripetizione, di convogliarla in una scatola per isolare e risaltare il suo significato, per sottolineare il peso della sua perdita e restituirle il suo valore affinché non sia disperso né dimenticato.

La straordinaria partecipazione di Sabrina Marciano e la voce profonda e toccante di Mino Caprio rappresentano un contributo prezioso al cortometraggio e cooperano per dare la massima espressione al dolore per la perdita, ma ancora di più all’importanza di un legame che sa esprimersi attraverso le distanze, finanche oltre il confine tra vita e morte.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Nel fitto di uno sfondo grigio che risalta la freddezza di un mondo indifferente, si muove la protagonista del cortometraggio diretto da Alberto Marchiori e scritto dal regista insieme a Teresa Lucente. L’autore costruisce attorno al suo personaggio principale una realtà che si muove in autonomia, seguendo il moto circolare della routine, uno spazio silenzioso in cui la protagonista pare trovarsi sospesa, a galla sulla superficie della vita. Mettendo al servizio della cinepresa uno sguardo in grado di accogliere e di lasciare integro il silenzio riservato dei suoi personaggi, Alberto Marchiori mette in scena un racconto che con stile sobrio riesce a rappresentare la fragilità senza dramma, ma risaltandone i tratti umani e la dignità.

Maria è una madre e una nonna piena di attenzioni per i suoi cari. Per un breve momento la si vede proprio in loro compagnia, intenta a prendersi cura del nipotino e ad aiutare sua figlia. Dopo aver passato la vita a dedicarsi al suo ruolo, sembra prendere improvvisamente coscienza del fatto che ormai non le sia rimasto altro che quello. Una volta che i suoi familiari tornano a casa, l’abitazione di Maria sprofonda nella solitudine. L’atmosfera calda delle scene iniziali, animata dalla presenza umana e dai disegni del bambino, cede il posto a una desolazione inclemente. Le giornate vanno via goccia a goccia e con esse il senso del tempo che scivola senza, tuttavia, convergere da nessuna parte. Un graduale stillicidio – un po’ reale, un po’ metaforico – a cui Maria ha bisogno, una volta per tutte, di porre un argine.

Facendo mostra di una capacità interpretativa magistrale, per la quale vince il premio come Migliore Attrice 2021 durante il Festival TSN, Anna Cianca colpisce per la sensibilità peculiare che conferisce al suo personaggio. Realizzando un gioco di sguardi sospeso su un equilibrio sottile, l’attrice esprime la timida ricerca di contatto umano di Maria, il suo desiderio di riappropriarsi del valore delle giornate e di uno spazio di affettività individuale al di là della funzione svolta all’interno della famiglia. Degna controparte di questo personaggio è Paride, interpretato da Andrea Pergolesi, altrettanto capace di alludere a un dolore taciuto e di mostrare gli scorci di un tesoro di umanità, celato con modestia. Quella della comunicazione è un’alchimia che, nel corto di Alberto Marchiori, si realizza nel silenzio – un silenzio denso come dense sono anche le distanze, per conferire ancora più importanza a ciò che, alla fine, le colma.