SorrisoDiverso

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Diretto, prodotto e montato da Giuseppe Pippo Laghezza, Quello che resta è scritto dal regista insieme a Ersilia Cacace, tra l’altro autrice del soggetto. Nel cortometraggio lo schermo viene attraversato da scene che il montaggio assembla coerentemente con le immagini evocate in una lettera. Attraverso questo sistema lo spettatore assiste alla parabola della storia d’amore tra i due personaggi principali e viene messo in contatto con la graduale costruzione del loro legame. Il cortometraggio si apre e si chiude con le inquadrature di due strade vuote: la ripresa di apertura viene fatta durante le prime ore del mattino, quella di chiusura, all’arrivo della sera, come a mettere in risalto i confini d’inizio e della fine dell’episodio su cui il cortometraggio si focalizza.

Un percorso di vestiti abbandonati in fretta e furia sul pavimento conduce lo sguardo della macchina da presa fino a una camera da letto. All’interno, una donna riposa e un uomo, seduto vicino al letto, la osserva e le scatta una fotografia. La donna si sveglia e i due iniziano a parlare, condividendo fin dalle prime scene gesti di genuina intimità. Qualcosa, tuttavia, rende quella relazione difficile. Lo spettatore lo comprende nel momento in cui l’uomo, una volta rincasato inizia a scrivere una lettera destinata alla compagna, Elisa. La lettera svela la natura del conflitto morale che si oppone alla concretizzazione del rapporto tra i due, costretti a vivere la loro storia clandestinamente. Con le sue parole il protagonista ripercorre la nascita e lo sviluppo della storia d’amore tra lui ed Elisa, fino al momento di svolta in cui l’uomo deve chiamare a raccolta il suo coraggio e decidere il da farsi.

Rilevante, all’interno del cortometraggio, è il gesto del protagonista di recuperare, spolverare e riaprire una scatola contenente i suoi ricordi, gli oggetti che rimandano all’uomo al di là del suo ruolo. La scatola non serve a nascondere quella parte dell’esperienza del protagonista, ma a custodirla come un tesoro prezioso che non ha alcuna ragione razionale, se non quella dettata dalla parzialità delle consuetudini, di essere negato.

La colonna sonora originale composta da Dario Piccoli instilla nel cortometraggio il senso del sentimento dolceamaro che lo pervade, attraverso il passaggio da momenti di gioia, a una profonda nostalgia e alla tristezza grata che accompagna il congedo. Gli attori che interpretano i personaggi principali caratterizzano perfettamente la coppia e danno voce, con le espressioni del volto, al loro amore e al loro conflitto. Un particolare degno di nota è il richiamo frequente al colore rosso che tuttavia appare, piuttosto che in tonalità accese, in sfumature terrigne, come ad alludere alla matrice naturale di tutte le passioni.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Valutazione attuale: 5 / 5

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Paura è un cortometraggio per cui Paolo Paparella cura regia, sceneggiatura, riprese, montaggio e audio. Un lavoro, quindi, che porta la sua firma nel concetto, nello sguardo, fino a coinvolgere i meccanismi della realizzazione del corto. In soli tre minuti, l’autore riesce a condensare un messaggio che attecchisce, grazie anche a uno studio delle immagini e all’impiego di espedienti in grado di trasmettere le sottili implicazioni del racconto. Al centro del corto, ancor più dei personaggi, c’è una voce e il monologo mentale che esprime, mentre i protagonisti si rivolgono sguardi furtivi.

Due scale mobili si affiancano, conducendo tre figure – una coppia e una donna sola – su percorsi paralleli e in direzioni opposte. La voce dei pensieri di una donna accompagna questo lento percorso, lasciando libero sfogo alle sue paure. La donna teme di esprimere l’attrazione che prova per le persone del suo stesso sesso. Ha paura della pubblica disapprovazione, specie se accompagnata ad atti di consapevole crudeltà. Per un breve momento la protagonista pare ribellarsi ai suoi stessi freni e, in cuor suo, afferma di non sentirsi sbagliata, di non pensare affatto di rappresentare una contraddizione di quella natura che in lei, piuttosto, si esprime in una delle sue forme più belle. Le due donne, da un lato all’altro delle scale mobili si guardano, per il frangente in cui si affiancano, ma si separano poco dopo, con l’ineluttabilità delle occasioni perse.

La scena in cui trovano espressione le fantasie della protagonista che, per un momento, nella sua mente, rende possibile l’incontro tra lei e l’altra donna, è fatta di immagini rese con colori saturi, quasi incandescenti, come a sottolineare l’impossibilità di afferrarle, di cavarle fuori dall’immaginazione e renderle reali, a meno di provare dolore.

La colonna sonora originale di Massimiliano Lazzaretti commenta perfettamente il viaggio nell’introspezione dei protagonisti del cortometraggio, seguendo con coerenza l’oscillazione tra la morsa dei timori e il senso di liberazione che accompagna le fantasie della protagonista. Con le loro espressioni silenti, inoltre, Maria Vittoria Pittore e Chiara Tascione, che prestano il volto alle due protagoniste del corto, riescono a trasmettere al pubblico il mistero di un mondo interiore che si svela solo a metà e per il resto si cela. Tra sguardi che si allungano l’uno verso l’altro e si ritirano per timore, i due personaggi si perdono. Malgrado il titolo, questo non avviene soltanto per mancanza di coraggio, perché in un mondo che non concede fino in fondo la libertà, la strada su cui le due posano i piedi si muove per loro e le trascina lontane dai loro desideri.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Diretto e scritto da Dino Lopardo, Partecipare rappresenta uno dei tasselli che compone il mosaico del periodo dell’emergenza sanitaria Covid-19 e mette in luce uno dei suoi aspetti più strazianti: la sospensione dei riti funebri. L’omissione di un vero e proprio momento di congedo diventa centrale nel cortometraggio, il quale punta l’attenzione dello spettatore su un vuoto di difficile rappresentazione, sul tema di una tragedia che rimane senza epilogo. Lo fa per mezzo di immagini quasi statiche: un sinistro album dedicato a un evento mai celebrato. Le soluzioni ingegnose della regia riescono a mettere in risalto e a rappresentare visivamente il peso di un gesto mancato, di una sofferenza a cui non segue il conforto.

Angela viene colpita dalla tragedia di un lutto. I suoi giorni sono attraversati da un’atmosfera funerea che si proietta lungo il suo avvenire senza una vera destinazione, senza una data da segnare sul calendario per mettere il punto. Angela non riesce a deporla, la morte, a seppellirla e le rimane, quindi, addosso. Si avvicendano scene surreali, tentativi da parte della protagonista di compensare il senso di incompletezza con una riproduzione del rito, ma ne ottiene un risultato posticcio: le lacrime sono finte, le condoglianze solo immaginate. La sua figura davanti alla chiesa è al centro di un’indissipabile solitudine, tale che alla fine la sovrasta e dalla scena svanisce persino lei. Un’ultima immagine rimarca l’importanza del contatto con quello che resta, si trattasse anche solo del corpo.

Una scena di particolare effetto si apre a partire da un’oscurità su cui, poi, irrompono le immagini di due specchi che inquadrano la protagonista. Nel suo riflesso Angela cerca i tratti del lutto: la sua immagine, attraverso le diverse prospettive in cui è rispecchiata, tuttavia, è scomposta, come scomposta è la sua sofferenza, che non trova la sua sintesi in un contesto in cui poter dire addio.

Jole Franco veste i panni dell’unico personaggio presente all’interno del cortometraggio e da sola accompagna il pubblico attraverso le scene intense concepite dall’autore, dimostrando una grande capacità di sostenerne il dramma che permea la storia. La sua interpretazione è accompagnata dalle musiche a cura di Salvatore Iaia e da una fotografia, diretta da Giuseppe Salviulo, che ricalca con assoluta coerenza il tema e proietta su tutte le immagini l’atmosfera di un funerale, ora onnipresente, ora negato, a intermittenza.